sabato 19 gennaio 2013
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La situazione in Mali diventa sempre più pesante e dall’esito incerto. Si teme una nuova guerra come quella in Afghanistan. Giovedì scorso il vescovo del Sahara, monsignor Claude Rault di Laghouat-Ghardaia (Algeria), ha mandato ai suoi fedeli un messaggio nel quale esprime «solidarietà alle popolazioni, agli operai della base di Amenas e agli ostaggi», assicurando «il sostegno della mia preghiera e di quella di tutti i membri della nostra diocesi». Poi ha aggiunto: «Questa violenza non ha nome, è cieca, inaccettabile, ingiustificabile perché tocca degli innocenti. La riproviamo con tutta la forza delle nostre convinzioni umane e religiose. Dio non vuole la violenza. Non può esserne sorgente e giustificazione. Non facciamo quindi ricadere sui nostri amici musulmani il peso di tali misfatti. Anche loro fanno parte delle vittime. Preghiamo il Dio della Pace che venga a guarire le piaghe vive di chi è nel dolore e nella pena. Che accolga a sé le vittime e rimetta sul retto cammino chi pensa di onoralo commettendo tali orrori». Il vescovo del Sahara ha detto bene e non poteva dire altro. Ma noi ci chiediamo: possibile che fra i popoli musulmani nascano così tante guerre, guerriglie, terrorismi, violenze contro l’uomo e la donna, violazioni dei diritti dell’uomo, separatismi violenti? Verissimo quanto dice monsignor Rault: «Non facciamo ricadere sui nostri amici musulmani il peso di tali misfatti. Anche loro fanno parte delle vittime». I missionari che vivono in Paesi a prevalenza islamica lo confermano: la grande maggioranza dei musulmani, come tutti gli altri uomini, ama la pace, la libertà, il benessere, la cordialità nel rapporto col prossimo, l’accoglienza, la solidarietà, ecc.. Però come mai questa maggioranza non viene alla ribalta? Inutile nasconderlo. Il mondo intero, e in particolare l’Occidente cristiano, si trova a dover fronteggiare un pericolo più grave di quando dall’altra arte c’erano una trentina di Paesi a regime comunista, che volevano conquistare il mondo e diffondere la loro ideologia. Il fanatismo religioso è peggiore del fanatismo ideologico, che quando è sconfitto dalla storia si sgonfia. Che fare? Nessuno ha la ricetta decisiva, però l’esperienza degli ultimi vent’anni insegna che la guerra non risolve questo problema, anzi lo peggiora, perché favorisce la diffusione della «guerra santa». Mi chiedo allora perché nei giornali, alla radio e in tv, nei circoli culturali, nelle università non si approfondisce la conoscenza dell’islam, il dibattito con i musulmani in Italia: cosa l’islam può insegnare all’Occidente e come deve cambiare per dialogare con le altre religioni e il mondo moderno? Sembrano temi tabù e non si capisce perché, mentre penso che si dovrebbe portare il dibattito a livello popolare. Nella famosa conferenza di Ratisbona (settembre 2006) Benedetto XVI aveva tentato un dialogo con l’islam, ponendo con chiarezza i temi da discutere: alcuni intellettuali islamici gli hanno risposto, in Occidente nessuno l’ha seguito. Per me, infine, è sempre valida la saggia risposta che mi diede nel 1982 in Pakistan monsignor John Joseph vescovo di Faisalabad, che poi morì martire in una stazione di polizia (aveva protestato contro la discriminazione dei cristiani), al quale avevo chiesto quel che molti si chiedono: cosa fare per fermare l’estremismo islamico? Risposta: «Sono nato in Pakistan da genitori cristiani, ma ho studiato e conosciuto l’islam, sono vissuto con molti musulmani amici. Per me l’islam rimane un mistero. L’unica cosa certa è questa: dobbiamo pregare e pregare molto, perché solo Dio penetra nel cuore degli uomini, e solo lui può fermare questa ideologia di odio e di violenza».
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