martedì 20 ottobre 2015
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Erri De Luca è stato assolto dall’imputazione di istigazione a delinquere, per avere auspicato azioni di sabotaggio contro la costruzione della Tav in Val Susa. Sarà opportuno rimandare i commenti tecnico-giuridici a quando verranno pubblicate le motivazioni della sentenza. Per ora possiamo semplicemente prendere atto del sollievo manifestato da tutti coloro che si erano schierati dalla parte dello scrittore, nei confronti del quale la pubblica accusa aveva chiesto una condanna a otto mesi di carcere. Una condanna, quindi, assolutamente simbolica per il nostro diritto positivo, che arriva a sospendere in alcuni casi perfino una pena a ben tre anni di reclusione. Un’eventuale condanna a otto mesi avrebbe quindi consentito a De Luca di non correre alcun rischio di veder limitata la sua libertà personale, ma lo avrebbe fatto diventare un piccolo martire della libertà di manifestazione del pensiero.La questione, ripetiamolo, si è quindi giocata, ancor prima dell’imputazione penale, su un piano esclusivamente simbolico, assolutamente lontano dalla realtà delle cose. È infatti da dubitare che i sabotatori della Tav siano entrati in azione (o possano eventualmente continuare a farlo) solo a seguito delle «istigazioni al sabotaggio» di De Luca. Tanto più che lo scrittore con molta passione e abilità ha sottolineato in varie dichiarazioni di aver usato il verbo "sabotare" nel senso in cui lo usava Gandhi, un senso estremamente ampio, «nobile e democratico». Insomma, gli usi linguistici, secondo De Luca, dovrebbero essere tutelati non solo in nome della fondamentale libertà di manifestazione del pensiero, ma ancor prima in nome di una libertà che sembra sia per De Luca ancora più fondamentale: quella del libero uso della lingua italiana. Spetterebbe agli scrittori e non ai giudici – così sembra di capire – usare le parole conferendo a esse insindacabilmente il significato più opportuno. L’auspicio di un sabotaggio, insomma, non veicolerebbe alcuna istigazione violenta, ma soltanto un appello alla legittima difesa nei confronti delle minacce contro la salute, il suolo, l’aria, l’acqua portate dalla costruzione della Tav. Argomentazioni dense e sottili che i giudici hanno trovato evidentemente convincenti, dichiarando che il fatto (cioè l’auspicio al sabotaggio fatto da De Luca) non costituisce reato.Tutto bene, dunque? In un certo senso, sì. E non solo perché De Luca in questo giornale e tra i suoi lettori ha amici ed estimatori sinceri. Grazie alla saggezza dei giudici torinesi ci siamo risparmiati dibattiti interminabili alla televisione pro e contro l’intellettuale "sabotatore", pubbliche manifestazioni di protesta in nome della libertà di manifestazione del pensiero e magari qualche inaspettato nuovo atto di effettivo sabotaggio in Val Susa per protesta contro una condanna a carico di Erri De Luca. Beato il Paese che non ha bisogno di eroi e, onestamente, di una nuova eroica figura, sia pur perfettamente incarnata dalla figura ascetica di De Luca, nessuno avverte oggi il bisogno. Se ne è accorto De Luca stesso, quando ha stigmatizzato la scarsa solidarietà nei suoi confronti da parte degli intellettuali italiani, che non avrebbero promosso adeguati appelli per sottrarlo alla condanna. «Pavidi e conformisti», li ha definiti. L’accusa di pavidità è obiettivamente fuor di luogo, dato che proprio non si capisce di cosa avrebbe dovuto aver paura un intellettuale che avesse pubblicamente auspicato l’assoluzione dello scrittore. Più sottile, invece, l’accusa di conformismo. Sembra – e vorremmo essere smentiti – che De Luca ritenga "conformisti" quegli intellettuali che avvertono (con sollievo!) come sia definitivamente tramontata l’epoca delle ubriacature ideologiche, degli slogan, delle lettere aperte corredate da decine e decine di firme illustri, delle manifestazioni di piazza e che ritengono che oggi ai sabotaggi della Tav siano preferibili analisi razionali e circostanziate sui costi e sui benefici che deriveranno dalla costruzione della linea ad alta velocità.Una costruzione, si badi bene, attivata a seguito di molteplici, accurati e limpidi processi decisionali democratici. Qualunque cosa si pensi al riguardo, credo che oggi la maggior parte degli intellettuali siano pronti ad accettare anche un’accusa di conformismo, se con questa parola si intende il rispetto verso una volontà popolare, accertata e acquisita rigorosamente, come è avvenuto in Val di Susa. Il metodo di decisione democratico, ricordava ironicamente Churchill, è il peggiore di tutti, ma non se ne è ancora inventato uno migliore. Se Gandhi incitava al sabotaggio è perché nell’India colonizzata dagli inglesi di democrazia non c’era nemmeno l’ombra. Possiamo onestamente e realisticamente fare un’affermazione simile nell’Italia di oggi?
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