sabato 26 gennaio 2013
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Sono veramente le Fondazioni il problema del sistema bancario e finanziario italiano e dei suoi dannosi legami con la politica? A giudicare da certi commenti dedicati al 'caso Monte dei Paschi di Siena' sembrerebbe di sì. Le Fondazioni sono tornate ad essere dipinte come il luogo simbolo dell’intreccio tra banche e politica, il contesto naturale nel quale gli interessi dei partiti finiscono per usare il credito sul territorio per orientare voti e gestire favori. Questo perché la banca la cui solidità è stata messa a repentaglio da operazioni finanziarie avventate dei suoi manager, il Montepaschi, ha come azionista di maggioranza col 30% una Fondazione, dove 13 consiglieri su 16 sono indicati dal Comune e dalla Provincia di Siena. Una tale circostanza ha contribuito a generare forti conflitti di interesse e distorsioni dannose nello svolgimento dell’attività di credito – e la responsabilità va necessariamente imputata al partito che in quel sistema governa e ha governato: il Pd. Dunque è importante che la Fondazione compia dei passi indietro, come è avvenuto per gli altri enti ex bancari figli della riforma del 1990, perché è bene che credito e politica viaggino su binari più lontani possibile. Ma chi oggi sostiene che il problema si risolva così, aggredendo il sistema delle Fondazioni territoriali, dimostra di aver capito ben poco della crisi economica e finanziaria internazionale, o rivela (suo malgrado) di farlo per altre ragioni. La tempesta finanziaria scoppiata con la crisi dei mutui subprime nel 2007, e di cui stiamo ancora pagando il conto salatissimo, si forma nei templi mondiali del capitalismo, per opera di soggetti finanziari 'privatissimi' che nulla hanno a che vedere col sistema di cui si sta discutendo in Italia. Le vestali del liberismo totale, del capitalismo anglosassone e della contendibilità dei capitali si dimenticano, nel sostenere il modello che ha prima gonfiato e poi piegato e piagato l’economia occidentale, che in quello scenario il legame tra politica e finanza esiste eccome, ma agisce semmai al contrario: sono le istituzioni finanziarie a orientare la politica, ottenendo regole a favore della speculazione selvaggia oppure ostacolando le riforme necessarie a limitare lo strapotere dei capitali. Troppo spesso ci si dimentica che il sistema bancario italiano, 'provinciale' e protetto dall’invasione di quella cultura economica, è stato l’unico a non venire travolto dalla valanga dei derivati collegati ai mutui americani. Investito, pieno di problemi, ma non travolto. E, fino al caso Mps di queste ore, mai aiutato veramente con soldi pubblici. Ora, affermare che tutti sono da considerare responsabili nella vicenda Monte Paschi – i vecchi manager, la politica, la società civile, i controllori – ma che nessuno singolarmente può essere definito il 'solo' colpevole non significa affatto emanare sentenze assolutorie. Significa porre una grande questione etica. Significa reclamare che l’asticella della morale torni a essere alzata per tutti, e a tutti i livelli. Anche per ciascuno di noi. Accusare 'solo' la politica di ogni male è un alibi troppo comodo. Così come scaricare tutto sul controllore «assente» è, in fondo, accettare l’idea che nulla dipenda mai da chi anima il contesto circostante. Questa è esattamente la cultura che sta drogando i bilanci delle banche in tutto il mondo, per pagare elevati dividendi ai soci, e che ha confinato e confina l’etica in formali 'rendiconti sociali'. Spegnendo le coscienze, deresponsabilizzando le persone, e incentivandole a giocare ciascuna per sé e contro tutti gli altri. Homo homini lupus, come si voleva e si vuole. Un esempio può chiarire meglio il succo del discorso: in una ipotetica città nella quale la classe politica è 'padrona' e magari corrotta, dove gli appalti vengono assegnati sempre e solo a chi sostiene il partito dominante, e dove l’informazione è proprietà degli imprenditori legati a quel sistema, non sarà certo la struttura di governo della banca a fare la differenza. Un istituto creditizio radicato in un territorio può essere un formidabile volano di sviluppo. Ma quando un contesto è incancrenito da una deriva morale diffusa, che genera conflitti di interesse a più livelli, e nell’accettazione collettiva, sono altre le riforme che si rendono necessarie. Partono dalle persone e poi arrivano alle strutture. Un intervento molto più utile e urgente di quello invocato sulle Fondazioni, dovrebbe imporre alle banche la separazione dell’attività di credito da quella di investimento, per impedire che possano speculare con i soldi dei clienti, come avvenuto a Siena. Questa riforma è bloccata, a causa dei forti – e attivamente difesi – interessi di soggetti economici privati. Perché l’avidità che può accecare un cattivo politico non è peggiore o più dannosa di quella di uno spregiudicato azionista di maggioranza. La buona politica, come la buona finanza ovviamente, si nutre anche della attese che riponiamo in essa. E di quanto siamo disposti a incidere in prima persona. ​​
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