domenica 8 aprile 2012
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Quando le chiedevi qualcosa, qualunque cosa, Madre Teresa di Calcutta non sprecava mai troppe parole. Anzi. E le sue risposte, quasi sempre, riportavano direttamente a Gesù. Faccio quello che faccio per Lui. Come Lui ci ha insegnato. Come Lui ci ha mostrato. Punto. Tanto le bastava. Un’adesione totale, incondizionata, appassionata. Senza se e senza ma, come si direbbe oggi. Era una donna colta, Madre Teresa, laureata, aveva insegnato per quasi vent’anni. Ma quando le facevi una domanda sulla sua vita, non argomentava mai la sua risposta. Tutto era per Lui e in Lui, al quale affidato tutta la sua vita, la sua esperienza, la sua cultura. Tutto, senza riserve. Un abbandonarsi fiducioso, che, come proprio la vita di Madre Teresa ci ha insegnato, non è un tirarsi fuori dal mondo, ma un calarvisi dentro con una forza inaudita, capace di trasformare ogni cosa. È l’abbandono dei santi; che non ha bisogno di grandi teologie per giustificarsi o anche solo per spiegarsi, ha bisogno solo di Gesù e di conformarsi al suo amore. Nessuna sovrastruttura, perché non ce n’è bisogno. È una parola semplice. Un invito. Guardate a Cristo. Nel Triduo di questa Pasqua 2012, dalla messa del Crisma alla veglia di ieri sera, Benedetto XVI questo invito l’ha ripetuto ancora e ancora. Guardate a Cristo, davanti alle asperità del quotidiano così come davanti a quelle che ci appaiono come le grandi sfide del tempo, davanti al nostro piccolo a davanti a quello che sembra sovrastarci. Lo ha detto, papa Ratzinger, ai sacerdoti che spingono al rinnovamento della Chiesa, chiamandoli a un’obbedienza che non è un chinare rassegnato la testa, ma un’esortazione a conformarsi a chi arrivò per obbedienza ad accettare la Croce. Lo ha detto alle famiglie, indicando quella stessa Croce come «risposta sovrabbondante» al bisogno che ha ogni persona di essere amata, e a cui guardare, sempre, per trovare in essa il coraggio per continuare a camminare. Per trovare quella luce, ha detto nella veglia, che è il centro del mistero pasquale, del Dio che si è fatto uomo per salvare, con la sua morte e risurrezione, gli uomini. È l’invito a cercare la chiave semplice per rispondere a quella chiamata alla santità che ci riguarda tutti. Una chiave che non ha bisogno di argomenti complicati per rivelarsi, né di chissà quali studi per essere compresa. Perché è roba semplice.

Basta, per capirla, l’umiltà di chi sa stupirsi e commuoversi davanti alla grandiosità del "fatto" che ha cambiato la storia. E per questo, paradossalmente, basta perfino l’incapacità di capire fino in fondo l’enormità del mistero di un Dio che rifiuta i sacrifici, ma arriva a sacrificare il suo stesso stesso Figlio per noi. Perché, ci dice Benedetto XVI, davanti alla Croce non servono più parole, ma solo il cuore. E in quella Croce sulla quale Gesù è rimasto appeso fino alla morte stanno tutte le risposte che cerchiamo, spesso così affannosamente da non avere più neppure il tempo per fermarsi e per guardarla. Finendo, così, per staccarci da quella che è la sorgente stessa della nostra fede. E ritrovarsi soli, preoccupati, pieni di rancore, incapaci di affrontare la crudezza di una vita che non è mai una passeggiata. A Madre Teresa, quando la sua Congregazione stava ancora muovendo i primi, incerti, passi, fu offerto un piccolo vitalizio perché, almeno, potesse assicurare il minimo indispensabile alle novizie. Rifiutò: «Non cerco nessuna certezza – disse – né per me né per le mie sorelle». Le bastava la certezza dell’amore di Gesù, morto sulla croce per tutti noi.

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