giovedì 21 marzo 2013
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​Ci sono storie che vanno raccontate dalla fine, gustate poco a poco come si fa con i piatti dai sapori delicati. Così per capire l’incontro di ieri mattina, bisogna partire dai gesti, dai segni che l’hanno concluso. Perché l’udienza del Papa ai «rappresentanti delle Chiese e delle comunità ecclesiali e di altre religioni» è stata tutt’altro che formale. Ci sono stati i discorsi, certo, ma soprattutto negli occhi di tutti resteranno l’abbraccio tra Francesco e il caro «fratello Andrea» cioè Bartolomeo I, la cordialità con Hilarion, la sorridente affabilità verso gli esponenti delle altre fedi. Come in una festa di famiglia, nessuno è arrivato a mani vuote e chi non ha offerto l’icona o la piccola reliquia ha comunque portato se stesso, cioè un cuore disponibile all’ascolto, alla condivisione. Perché quando ne parli a un amico, i muri da oltrepassare sembrano meno alti e anche i problemi appaiono più leggeri.Nel suo intervento papa Francesco ha sottolineato l’importanza dell’impegno ecumenico per la Chiesa cattolica, ha ribadito lo specialissimo vincolo spirituale tra i cristiani e il popolo ebraico, ha rilanciato la volontà di far crescere la stima e la cooperazione reciproca con il mondo musulmano, al servizio del bene comune. Soprattutto si è soffermato sulla centralità della preghiera, la linfa indispensabile, il punto di partenza senza il quale non è possibile una testimonianza «libera, gioiosa e coraggiosa» del Vangelo. Nessuna scorciatoia o fuga, nel suo intervento, dalle divisioni che ancora separano i cristiani ma la ribadita volontà, sulla scia «dei predecessori», di proseguire nel cammino del dialogo, un servizio di speranza che non può che fondarsi su carità e verità. Sa, Francesco, che proprio il diverso valore attribuito al ministero petrino rappresenta il maggiore ostacolo alla comunione con le Chiese orientali. Così com’è consapevole, che al di là dei problemi teologici, oggi il primo nodo da sciogliere nel confronto con gran parte del mondo protestante riguarda i temi etici e antropologici. Eppure l’impressione, ma forse sarebbe più giusto parlare di certezza, è che anche in questo campo Bergoglio abbia avuto una "partenza" eccellente. La sua semplicità e chiarezza, i costanti richiami all’umiltà e all’attenzione verso gli ultimi, hanno già conquistato tutti.Non a caso, Bartolomeo I nel richiamare l’importanza del dialogo teologico, ha indicato, proprio nello stile adottato dal Pontefice «nella scelta dell’essenziale», un patrimonio di speranza al servizio dei fedeli sparsi nel mondo e in generale per ogni uomo e donna di buona volontà. In questo senso il dialogo che deve progredire – ha proseguito il patriarca ecumenico di Costantinopoli – è quello che si fonda su carità e verità, in spirito di umiltà e mitezza. Punti cardinali, questi, anche nel confronto con le comunità ecclesiali d’Occidente, con il mondo protestante, che hanno da subito evidenziato nella scelta del nome e nell’insistito richiamo alla categoria del «vescovo di Roma» segnali importanti, da valorizzare nell’itinerario di riconciliazione.Malgrado differenze e separazioni, dunque, le Chiese sono consapevoli che la sfida dell’unità è sempre più urgente. Per i cristiani innanzitutto, ma anche nel confronto con le altre fedi, con cui si può e si deve – ha sottolineato Francesco – lavorare insieme per «tenere viva la sete dell’assoluto» evitando che «prevalga una visione della persona umana» che riduce l’uomo «a ciò che produce e consuma». Una "frontiera" che avvicina il credente a chi non lo è, soprattutto a quanti pur non appartenendo a tradizioni religiose vivono nella ricerca della verità, della bontà e della bellezza. Uomini e donne cui il nuovo Papa si è rivolto da subito, nel rispetto di ogni coscienza, come aveva già detto sabato scorso. Ma anche sapendo «che ciascuno di voi» – ha aggiunto rivolto ai non credenti – «è figlio di Dio». Un Padre che sa accendere luci nel buio della notte più nera, l’ultima insegna che resta illuminata per indicarci la strada, che ci riporta a casa.
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