mercoledì 8 maggio 2013
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Le indiscrezioni finora sono unanimi: il governo, già nella prima riunione del Consiglio dei ministri, dovrebbe decidere alcune modifiche della legge Fornero sul mercato del lavoro, approvata appena nove mesi fa. Una sorta di "manutenzione d’urgenza" per limare alcune rigidità, che hanno finito per rendere le occasioni di impiego per i giovani ancora più scarse di quanto già non fossero a causa della crisi economica. È il risultato, non certo inatteso, di una riforma che scontava un approccio alla questione del lavoro in parte ancora ideologico, di impronta prevalentemente normativa, al quale sarebbe invece auspicabile che il nuovo esecutivo sostituisca un atteggiamento più pragmatico e che valorizzi in maniera preminente la leva contrattuale.Sono tre i punti critici individuati: il periodo di stacco per i lavoratori assunti a termine tra un contratto e il successivo; l’obbligo per le imprese di assumere a tempo indeterminato almeno il 30% degli apprendisti e la possibilità di assumere a termine senza una motivazione specifica (la cosiddetta "acausalità") solo per il primo contratto. L’obiettivo, rivelatosi un’illusione, era che stringendo le maglie della legge si sarebbero sanati gli abusi e trasformati i lavori precari in altrettanti posti fissi. In realtà, come in una pompa di irrigazione, stringere il tubo, al di là di qualche giusta precauzione, serve a poco. O si strozza il flusso (com’è accaduto con le assunzioni) o si crea una pressione tale da far fuoriuscire l’acqua attraverso altri buchi e interstizi (ritorno al lavoro nero, tipologie atipiche diverse). Più produttivo risulta invece prendere in mano la canna, srotolarla interamente perché l’acqua scorra con facilità, cercare di indirizzare al meglio il flusso, affinché irrighi nella direzione desiderata.Fuor di metafora, occorre ribaltare la prospettiva: anziché pensare di contrastare per legge la precarietà, provare a considerarla come un dato di realtà ormai strutturale. Ineludibile nelle società post-moderne, nelle quali le vecchie certezze non esistono più e in un modo o nell’altro qualsiasi occupazione risulta "a termine", a rischio. E perciò provare a rendere la precarietà accettabile, grazie a tutele contrattuali e misure di welfare. Sanzionando certo i comportamenti scorretti, assicurando maggiore convenienza alle forme di lavoro stabile, ma soprattutto cercando di rendere la flessibilità utile e produttiva per tutti i soggetti del mercato del lavoro, lasciandone principalmente a loro il governo. Anziché introdurre nuovi limiti in Parlamento, quindi, meglio affidare alle parti sociali la fissazione delle scadenze più appropriate per i contratti a termine, adattandole alle situazioni specifiche (per i giornalisti, ad esempio, editori e sindacato si sono già accordati per ridurre il periodo di stacco obbligatorio, non appena verificato che i termini della legge Fornero finivano per penalizzare anzitutto i giovani precari). Meglio lasciare che siano le imprese artigiane, assieme ai sindacati, a regolare l’apprendistato perché possa davvero decollare anche da noi. Più utile individuare – grazie a un attento ascolto delle tante associazioni professionali e giovanili esistenti – quali misure di tutela (malattia, maternità, sussidi per i periodi di disoccupazione) rispondano ai bisogni reali dei giovani. In sintesi, sarebbe auspicabile non "riformare la riforma", trasformando il mercato del lavoro in un eterno cantiere improduttivo, ma favorire la costruzione di nuovi modelli di auto-tutela contrattuale, di welfare sussidiario, incentivare un nuovo modo di fare sistema, grazie allo scambio virtuoso tra flessibilità e partecipazione, tra modernizzazione e corresponsabilità dei soggetti economici.Non sarebbe una resa né per la politica né per i lavoratori. Ma, come avviene in certe arti marziali, si tratta di saper accogliere il colpo dell’avversario – il profondo cambiamento imposto dalla globalizzazione e dalla rivoluzione informatica – trasformando quella stessa spinta in una formidabile forza a proprio vantaggio.
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