sabato 7 marzo 2015
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Quando ero studente al liceo di Mosul, una volta all’anno andavo in visita al museo, in una sorta di pellegrinaggio culturale e umano per esplorare la memoria della civiltà a cui appartenevo e continuo ad appartenere, anche adesso che vivo in Italia. È uno dei più importanti musei iracheni dopo quello di Baghdad, fondato nel 1952. Lo ricordo quando ancora consisteva in una sola sala modestamente allestita. Dopo l’avvento al potere del partito Baath, nel 1972 venne edificata una nuova struttura molto moderna e ben attrezzata, costituita da quattro sale che contengono importanti tesori della civiltà irachena, allestita grazie anche all’aiuto di esperti e archeologi italiani.Come la maggior parte degli abitanti di Mosul, la mia famiglia era abituata, soprattutto in primavera, ad andare in gita fuori città. Le mete favorite erano le pianure che si stendono attorno al monastero cristiano di Mar Behnam, costruito in epoca bizantina, ma quella che mi piaceva di più conduceva ai resti di una delle quattro capitali assire, la città di Nimrud, fondata nel tredicesimo secolo avanti Cristo. I tori alati o guardiani delle porte in quella città sono giganti lavorati con una tale raffinatezza che ancora oggi sono rimasti impressi nella mia mente. Da bambini giocavamo felici tra gli antichi alberi di ulivo nelle vicinanze dei resti della nostra civiltà, e da grandi ci piaceva stenderci sotto pensando al nostro futuro.  La devastazione del museo da parte dei barbari dell’Is – non possiamo che definirli così – è avvenuta appena quattro giorni dopo il bombardamento della Biblioteca pubblica di Mosul, che conservava libri rari e preziosi manoscritti, tra i quali alcuni di proprietà delle famiglie notabili della città, che le regalavano (secondo tradizione) alla Biblioteca. I jihadisti hanno prima bombardato e poi dato alle fiamme l’edificio e, come se non bastasse, hanno concluso la giornata distruggendo anche la chiesa di Maria Vergine e il teatro dell’università. È un segnale chiaro che questa gente teme la cultura perché sa bene che è il suo principale antagonista, perché è quanto di più prezioso contraddistingue un uomo e la società a cui appartiene, un tesoro impresso nella mente e nel cuore in maniera indelebile.Un simile scempio era accaduto soltanto una volta nella storia del mio Paese, nel 1258, con la presa di Baghdad, allora sede del califfato abbaside, e il saccheggio che ne era seguito a opera delle truppe tartare del Khan Hulagu.I crimini di guerra non sono soltanto atti di sterminio di massa commessi contro il genere umano, ma anche azioni folli portate avanti contro la memoria storica e il patrimonio archeologico e culturale di tutta l’umanità. Distruggere reperti archeologici a colpi di martello o radere al suolo città storiche ha lo stesso significato dello svuotamento di una regione intera dai suoi abitanti autoctoni, della cacciata dalle loro case di persone inermi solo perché professano un’altra fede. L’Is prosegue con la sua politica dell’odio totale contro tutti e tutto, secondo la logica che è diventata il suo segno distintivo, la sua parola d’ordine: eliminare l’altro.Intanto qualcosa si muove in un’Europa finora assopita e dimentica: intellettuali e accademici francesi lanciano un appello su "Le Figaro", sottoscritto anche dai due ex premier Juppé e Rocard e indirizzato al governo francese che attualmente presiede il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, chiedendo di indire una riunione sul tema della persecuzione contro i cristiani in Medio Oriente. Un grido nel deserto contro il silenzio del mondo e la sua indifferenza, per chiedere che si fermi la mano del terrore. I mostri dell’Is hanno diffuso le immagini della loro più recente impresa che riecheggia epoche barbariche ricorrendo ai metodi tecnologicamente più avanzati: un video di cinque minuti è stato rilasciato su Twitter e ha fatto il giro del mondo. Nel filmato che mostra la distruzione di statue risalenti a oltre duemila anni, uomini barbuti vestiti all’afghana si accaniscono  contro le vestigia di una civiltà di cui loro stessi sono eredi, e non si rendono conto che stuprando questa terra colpiscono un po’ di loro stessi.L’Iraq, culla delle civiltà, luogo che ha visto nascere o crescere le culture sumere, assire, babilonesi, cristiane e islamiche, non ha mai visto una simile, brutale aggressione contro la sua ricca tradizione culturale. E le violenze di cui sono oggetto i cristiani e altre minoranze etniche e religiose risuonano come campane a morto nel mio amato e abbandonato Paese.
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