venerdì 21 marzo 2014
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Per anni non hanno visto, non hanno sentito, non hanno parlato. Proprio come i cinesi, da loro stessi accusati di omertà mafiosa, concorrenza sleale, sfruttamento. Ora che la Procura di Prato ha arrestato anche due italiani, insieme a tre datori di lavoro asiatici, per il tragico incendio del Macrolotto costato nel dicembre scorso la vita a sette persone, il disvelamento è finalmente avvenuto. Dietro ai laboratori dell’orrore, all’inabissamento di tanti uomini e donne costretti a dormire e a mangiare negli stessi luoghi di produzione, c’era dunque (e ancora prospera) una rete di complicità che coinvolge molti nostri connazionali.Un segreto di Pulcinella, anche se non pochi hanno preferito credere che a Prato ci fossero due comunità – la italiana e la la cinese – assolutamente distinte, persino opposte, autoreferenziali. Non è mai stato così: chi affittava capannoni agli imprenditori cinesi, salvo poi chiudere gli occhi su quanto accadeva all’interno degli stessi? Chi praticava prezzi da usura negli affitti per costringere i giovani in arrivo dalle regioni più remote della Cina a vivere 24 ore su 24 nelle fabbriche della vergogna?Tanti sapevano e nessuno parlava, dunque. Perché negli stabilimenti del Macrolotto hanno trovato un impiego anche diversi pratesi, che in tempi di crisi economica hanno accettato di sorvolare su standard ambientali, norme di sicurezza e condizioni igieniche pur di guadagnare quanto serviva per sbarcare dignitosamente il lunario. Per alcuni, si è trattato di una scelta senza alternative, frutto indesiderato di una congiuntura che non ha risparmiato neppure il "pronto moda". Insieme a quella degli affari, ha finito per restringersi anche la sfera dei diritti e troppi ne stanno facendo le spese, anche negli stabilimenti tessili pratesi.Ha dunque ragione il procuratore della città toscana, Piero Tony, nel definire l’operazione di ieri un vero e proprio «salto culturale». Intendiamoci: le accuse rivolte ai datori di lavoro cinesi che costringevano a turni massacranti i loro sottoposti sono gravissime e vanno dall’incendio colposo all’omicidio colposo plurimo, dall’omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro fino al favoreggiamento di "clandestini". Eppure anche i proprietari dell’immobile, due italiani, hanno avuto secondo gli inquirenti «piena consapevolezza» di quanto stava accadendo. Un concorso di colpa che, se dimostrato, può diventare un precedente pesantissimo per altri proprietari immobiliari, in gran parte nostri connazionali.Quel che conta è però adesso far seguire alla mossa dei giudici e delle forze dell’ordine, una vera e propria mobilitazione della città e dell’intera opinione pubblica. Qualcosa si è già visto in questi mesi e fa ben sperare: il "tavolo Prato" nei giorni scorsi è approdato direttamente al Quirinale e ora attende segnali di operatività da parte di governo, regione ed enti locali, proprio nei giorni in cui la città si prepara a un attesissimo test elettorale per l’elezione del sindaco.Più che guardare ai politici, però, conviene osservare quanto sta accadendo nei patronati sindacali o nelle associazioni di categoria delle imprese, dove da un po’ di tempo si mettono silenziosamente in fila anche lavoratori e piccoli imprenditori cinesi. Chiedono la traduzione di norme spesso incomprensibili, vogliono partecipare a corsi di formazione che prima erano un’esclusiva solo italiana, sognano se possibile un’abitazione in regola. I loro figli sono in molti casi nati e cresciuti a Prato, si iscrivono in massa agli istituti di ragioneria e, se accettano di dare una mano nell’impresa di famiglia, stanno bene attenti a non sacrificare del tutto la vita sociale. Da loro, e dai loro coetanei pratesi, è lecito aspettarsi di più di quanto non abbiano fatto molti loro padri. Cinesi e italiani. Senza eccezioni, purtroppo.
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