lunedì 13 gennaio 2014
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Con l’elenco dei nuovi cardinali diramato ieri (i primi del suo Pontificato) e con il discorso al Corpo Diplomatico di oggi (anche questa una prima volta) Papa Francesco ha dato ulteriori conferme circa il suo personale modo di intendere la geografia. Quello che infatti viene comunemente chiamato “terzo mondo” è il primo nelle sue attenzioni. E ciò che per gli altri è “periferia” si trova in realtà al centro del suo interesse pastorale, politico (nel senso alto della parola) e umano.  Questa rivoluzione geografica, infatti, è palese sia nelle scelte operate in riferimento al collegio cardinalizio, sia nelle situazioni evidenziate oggi di fronte agli ambasciatori di tutto il mondo. Così, anche attraverso questi atti che ai più potrebbero apparire istituzionali, Francesco parla la lingua che gli è più propria. Mette cioè davanti agli occhi del mondo le situazioni più fragili e più dolorose, affinché chi può e deve occuparsene, se ne occupi davvero a tutti i livelli. In un certo senso possiamo dire che il Papa – lui che come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI è così profondamente mariano - ha recitato il suo personalissimo Magnificat, soprattutto nel verso in cui dice "ha innalzato gli umili". Non si capisce se no perché distribuire le porpore a vescovi di diocesi del terzo mondo che nel loro Paese (vedi Haiti e le Filippine, ad esempio) non sono neanche quelle considerate più importanti. E non si comprende altresì l’accento posto, anche nel discorso al Corpo diplomatico, su temi basilari del magistero bergogliano come il rifiuto della cultura dello scarto, la difesa dei bambini da piaghe come l’aborto, la tratta o l’arruolamento forzoso o l’attenzione sul necessario apporto all’interno della società da parte dei giovani e degli anziani. I quali non vanno emarginati. Tutt’altro.  Dal discorso di oggi possiamo anzi ricavare una sorta di regola d’oro del “Papa Francesco pensiero”. Una regola che vale nei rapporti interpersonali, come in quelli tra gli Stati e che lo stesso Pontefice ha formulato in questi termini: "Serve un impegno comune di tutti per favorire una cultura dell’incontro, perché solo chi è in grado di andare verso gli altri è capace di portare frutto, di creare vincoli di comunione, di irradiare gioia, di edificare la pace". Ecco, la geografia del primo Papa Latinoamericano della storia è appunto la geografia di chi non si stanca di andare verso l’altro, soprattutto se abita in periferia. Che sia poi la periferia di una grande città o di una nazione o di un continente (si vedano a questo proposito le analisi dei focolai di guerra e di miseria soprattutto in Africa, contenute nel discorso agli ambasciatori) questo per il Pontefice non fa differenza. Ciò che più gli sta più a cuore è che ovunque, grazie alla cultura dell’incontro, ritorni la pace, dalla Siria alla Corea, dall’Egitto ai Grandi Laghi. Pace non solo come assenza di guerra, ma come autentica fraternità all’interno della grande famiglia umana. L’unico elemento veramente indispensabile per ripensare lo scacchiere del mondo.

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