giovedì 9 gennaio 2014
La cannabis ha un principio attivo sempre più potente.
Giovanni Serpelloni
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Prima di entrare nel dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere è necessario che chiunque voglia affrontare questo tema sviluppi alcuni punti di consapevolezza, partendo dalle evidenze scientifiche, per poter comprendere esattamente i rischi e le conseguenze di questa scelta. Gli studi più accreditati hanno dimostrato da anni che la cannabis è una sostanza psicoattiva neurotossica e pericolosa per la salute mentale e fisica propria e altrui. I danni maggiori sono quelli derivanti dall’uso precoce (adolescenziale) di questa sostanza nel momento in cui il cervello si trova nella delicata fase di sviluppo celebrale che termina dopo i 21 anni. Studi scientifici hanno mostrato conseguenze tanto più gravi sulle capacità cognitive (attenzione, memorizzazione e apprendimento, quoziente intellettivo, gratificazione, capacità decisionale e stima del pericolo) quanto più precoce è l’inizio dell’uso e quanto è più frequente e duraturo. Uno studio in particolare ha dimostrato che chi fa uso di cannabis prima dei 18 anni può avere una perdita di Q.I. (quoziente intellettivo) con un declino neuropsicologico anche di 8 punti dopo 20 anni.
Ma quando si parla genericamente di cannabis o erroneamente di droghe "leggere" non si tiene conto di che cosa si trova sul mercato oggi e della domanda (e quindi dell’offerta delle organizzazioni criminali) che esiste. Da qualche anno infatti viene proposta un tipo di cannabis sempre più potente e con effetto fortemente alterante. Di norma nella cannabis si trova dal 5 al 7% di principio attivo (Thc), ma oggi ci sono piante appositamente modificate e coltivate con tecniche violente di coltura intensiva che arrivano anche al 55% di principio attivo, con perdita inoltre di altri principi attivi proteggenti (Cbd). La gravità dei danni infatti risente anche della maggiore concentrazione di principio attivo presente nei prodotti oltre all’uso contemporaneo di altre droghe sinergizzanti e di alcol che oggi rappresenta purtroppo la norma. Il problema legato al fumo di cannabis è diventato ormai una questione di sanità pubblica da non sottovalutare, che ha portato a registrare, oltre all’aumento delle patologie psichiatriche droga correlate (quali la schizofrenia), anche i ricoveri in condizioni di emergenza presso i pronto soccorso (fonte dati Sdo del Ministero della Salute).
Il 16% dei ricoveri per intossicazioni acute da droghe nella popolazione generale è dovuto alla cannabis, un dato che sale al 44,2% se esaminato nella fascia dei minorenni. In Europa (fonte Emcdda) tale percentuale nella popolazione generale è del 22%. Quindi, quanto è "leggera" una droga che produce una quantità così elevata di ricoveri ospedalieri in condizioni di emergenza? Un’altra importante consapevolezza da avere prima di scegliere la strategia giusta è quella che legalizzare e quindi far aumentare l’accessibilità a una sostanza psicoattiva fa sempre aumentare il suo consumo e il numero di persone che la usano. Aumenteranno quindi anche i ricoveri, gli incidenti stradali droga correlati, gli incidenti professionali, le violenze, le persone con patologie psichiatriche ma anche quelle (particolarmente vulnerabili) che svilupperanno percorsi evolutivi (come dimostrato da studi di neuroscienze anche su modelli animali) verso l’uso di cocaina o eroina.
Studi condotti in California dal Nida (National Institute on Drug Abuse) durante il dibattito sulla legalizzazione hanno dimostrato che per il solo discutere di queste cose la percezione del rischio derivante dall’uso di cannabis negli adolescenti diminuiva e quindi aumentava l’uso della droga. Infatti la percezione negli adolescenti che l’uso di tali sostanze sia socialmente tollerato ne fa aumentare la probabilità l’uso. Un altro studio durato ben 30 anni su circa un milione di giovani studenti negli Stati Uniti ha dimostrato molto chiaramente che se la "disapprovazione sociale" (mantenuta anche attraverso leggi non permissive) e quindi anche la percezione del rischio verso la cannabis era alta (90%) l’uso della droga nei teen-ager era del 17%, mentre quando la disapprovazione scendeva al 47% l’uso saliva al 49%. Inoltre non esiste alcuno studio né evidenza scientifica che dimostri che la legalizzazione sia in grado di ridurre efficacemente gli introiti delle organizzazioni criminali, ed è illusorio pensare che legalizzare la sola cannabis possa avere impatto sugli introiti delle mafie che vivono soprattutto della vendita di eroina, cocaina, metamfetamine e adesso anche di altre 300 nuove droghe sintetiche vendute su Internet. Tali organizzazioni criminali quindi trafficano e commerciano in vari tipi di droghe, e legalizzando uno solo di questi prodotti – quale ad esempio la cannabis – non si produrrebbero danni commerciali tali da mettere le organizzazioni in crisi, come dimostrato da studi statunitensi in merito, producendo viceversa nuovi costi sanitari e sociali.
Dovremmo quindi legalizzare anche tutte le altre sostanze? Come verrebbe poi regolamentato il fatto che persone guidino una macchina, un autobus, un treno o lavorino sotto l’uso di sostanze stupefacenti psicoattive ma perfettamente legali, non potendole quindi sanzionare? E chi pagherebbe i costi sanitari aggiuntivi derivanti da questo aumento dell’uso? La sanità pubblica e la società non possono permettessi di pagare un così alto prezzo. Nell’epoca di Internet e del controllo telematico dei flussi bancari ci sono altri modi molto più efficaci per controllare tale fenomeno e il grande flusso di denaro conseguente, ma anzitutto è necessario che ciascun individuo di buona coscienza sviluppi la piena consapevolezza di non acquistare né consumare droga foraggiando così le mafie e danneggiando la propria e altrui salute mentale e fisica.
 
* Capo Dipartimento per le politiche antidroga
Presidenza Consiglio dei Ministri
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