domenica 14 aprile 2013
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A un mese dalla sua elezione, Papa France­sco ha annunciato la prima decisione "for­te" di governo. La costituzione di un Gruppo formato da otto cardinali, di cui uno coordina­tore, e con un vescovo come segretario, per «con­sigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Pa­stor bonus», la Costituzione sulla Curia romana varata da Giovanni Paolo II nel 1988. Prima riu­nione «collettiva» il prossimo ottobre, anche se «Sua Santità è tuttavia sin d’ora in contatto» con questi suoi fratelli cardinali. Un passo importante per la Chiesa «in cammi­no » sempre richiamata da Papa Bergoglio, nel segno dell’evoluzione piuttosto che in quello della rivoluzione. Che, con sullo sfondo la pro­spettiva della collegialità, dota la Chiesa Uni­versale di quello che appare come un vero e pro­prio consiglio – anche se il termine proprio che lo definisce è "Gruppo" – in cui sono rappre­sentati tutti i Continenti, chiamato attorno a sé dal Vescovo di Roma. È presto, adesso, per riu­scire a immaginare il come tutto questo si de­clinerà, o per dire che cosa comporterà, se non che di sicuro non sarà una sorta di "supercuria", essendo evidente che al Gruppo non sono as­segnate mansioni di governo né in qualche mo­do decisionali. Quel che piuttosto si può met­tere in evidenza è il quadro d’insieme della scel­ta di Francesco, che, come detto poco fa, deve far parlare di evoluzione piuttosto che di rivo­luzione. A cominciare dal fatto che l’annuncio arriva co­me un passaggio atteso, non uno choc improv­viso, e in qualche modo anzi annunciato dallo stesso Francesco proprio nel suo primo affac­ciarsi alla Loggia delle Benedizioni, poco più di un’ora dopo l’elezione, presentandosi come Ve­scovo di Roma, e mai pronunciando la parola Papa. Una scelta precisa, che col suo rimanda­re al fondamento stesso del ministero petrino, manifestava da subito un valenza profonda, quasi "densa", nella duplice direzione della col­legialità e, in intima connessione con essa, del­l’ecumenismo – valenza, quest’ultima, peraltro immediatamente colta dal Patriarca ecumeni­co di Costantinopoli, che, non a caso, per la pri­ma volta nella storia è stato presente a una mes­sa d’inizio pontificato. Evoluzione, anche, nel senso che con la sua de­cisione Papa Francesco dà continuità e stabilità al processo di crescente coinvolgimento del cor­po episcopale iniziato da suoi immediati pre­decessori. Con Giovanni Paolo II che introdus­se l’abitudine di convocare a Roma il Collegio cardinalizio per Concistori che potremmo de­finire "consultivi". E con Benedetto XVI che, modificando de facto la prassi sinodale con l’introdurre gli spazi di discussione "libera" e l’uso di pubblicare le proposte finali di ogni Sinodo indipendentemente dalla loro successiva traduzione in una Esortazione apostolica, ha aperto una nuova, più ampia finestra sull’esercizio della collegialità. Oggi, così, con la scelta degli otto cardinali, e attraverso il loro rappresentare l’universalità della Chiesa, quell’esercizio sembra entrare in una nuova dimensione. Che, ne abbiamo accennato, non implica né sottintende un ruolo operativo che in qualche modo "preceda" o "ridimensioni" quello della Curia, il cui compito, preciso e insostituibile, è di aiutare il Papa nell’esercizio del suo ministero, come braccio operativo. Anzi, proprio il fatto che il primo compito definito per il Gruppo sia quello di studiare un progetto di revisione della Pastor bonus, indica piuttosto il desiderio di valorizzare il ruolo di servizio della Curia romana, secondo quello che fu il principio ispiratore della Costituzione apostolica di Papa Wojtyla.
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