sabato 28 luglio 2012
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​Tanto tuonò che piovve. Dopo averlo inserito nel programma elettorale, la giunta arancione del Comune di Milano ha attuato il suo impegno di istituire un registro per le unioni civili. Grande battage pubblicitario, grande dibattito interno ai partiti, al consiglio comunale, nella città, anche al di fuori dei confini comunali, come è giusto che sia per una metropoli così importante. Ma soprattutto tre sedute della commissione consigliare, un pressing sui Consigli di Zona per avere tempestivamente i loro pareri, tre sedute del Consiglio comunale, con maratona finale di undici ore del Consiglio stesso, in queste torride serate di luglio, come se ne erano viste solo per evitare l’esercizio provvisorio di bilancio. Verrebbe quasi da dire: ma ne valeva la pena? Forse c’è stata analoga passione e investimento politico per decidere quali sostegni alle famiglie numerose e alle famiglie con figli a Milano? La risposta è scontata, purtroppo: c’è un registro utile solo a fini propagandistici e di pressione politica e lobbistica sul Parlamento, ma nessuna maratona istituzionale è stata organizzata per dare sostegno alle famiglie con figli.Nel dibattito milanese si sono viste composizioni e scomposizioni nella maggioranza di centrosinistra e nell’opposizione di centrodestra, e anche frenetiche corse all’emendamento, per correggere evidenti carenze del testo proposto: in primis la possibilità che veniva consentita di riconoscere qualunque tipo di unione, per qualunque numero di persone, aprendo così a un possibile riconoscimento a livello comunale di situazioni di poligamia: rischio evitato, ma episodio che tradisce una fretta degna di miglior causa, e un’approssimazione amministrativa che potrebbe emergere anche successivamente. (Un’azione alla carlona, sia detto per inciso ma non troppo, che alcuni grandi giornali hanno sorprendentemente coperto con un insolito e generoso soccorso, presentando come già emendato, ben prima che lo fosse, il testo del regolamento fortissimamente voluto dal sindaco Pisapia).   Chi scrive è anche cittadino di Milano, e può testimoniare che questo episodio sproporzionato e senza precendenti costituisce tutto meno che un passaggio virtuoso dell’amministrazione comunale: la fretta, le incertezze del testo, la quasi "feroce" determinazione per chiudere la partita prima della pausa estiva, confermano i giudizi iniziali: si tratta di una iniziativa di natura fortemente ideologica, estranea al vero mandato amministrativo del Comune, lontana dai bisogni reali delle famiglie milanesi, ma volta piuttosto a offrire "diritti"  o forse sarebbe meglio dire "privilegiata attenzione"  a situazioni che potevano tranquillamente essere governate con altri strumenti, già disponibili. Inoltre il dibattito e l’obiettivo generale sono rimasti fortemente adultocentrici, tutti concentrati su una "uguaglianza di opportunità" di coppie adulte, eterosessuali e soprattutto omosessuali, che non mette a confronto diritti e doveri, ma abbozza solo diritti esigibili sempre e comunque. Le conseguenze concrete di questa decisione amministrativa sono irrilevanti, come conferma l’esperienza di tutti gli altri Comuni che hanno già introdotto registri analoghi, disertati o rivelatisi inefficaci. Ma stavolta la mobilitazione per far "funzionare" un provvedimento-spot appare più forte. Si vedrà. Il rischio reale è che anche in forza di simili iniziative venga rafforzato un atteggiamento di totale privatizzazione degli impegni familiari e affettivi, che tende a rendere insignificante e non necessario il matrimonio, passaggio invece fondamentale per costruire un patto, un impegno, un riconoscimento reciproco tra progetto della coppia e patto sociale.Inappropriato appare anche il modo con cui la grande questione delle relazioni affettive tra persone dello stesso sesso viene qui introdotta: di fatto con un atto amministrativo si cerca di ampliare il riconoscimento pubblico della legittima libertà di scelte di vita privata, assimilandola surrettiziamente a forme familiari.
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