giovedì 14 gennaio 2016
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Era previsto che morisse una sola persona, invece i decessi sono tragicamente raddoppiati. Così si riassume, nei fatti, la tragedia di Napoli, dove Gabriella, 19 anni, l’altroieri è morta di aborto.Da pochi giorni la ragazza aveva saputo di essere madre e che la sua gravidanza era già arrivata all’undicesima settimana. Così, riferiscono i familiari, ha scelto di interrompere la gravidanza, una decisione che – dicono – è stata sofferta, ma sulla quale il suo medico avrebbe avuto un peso definitivo: Gabriella prendeva un farmaco per curare un fungo alla pelle, meglio non rischiare qualche eventuale problema futuro al feto e risolvere la questione alla radice. Abortendo il bambino. Nessuna evidenza, sia chiaro, nessuna anomalia, nessuna diagnosi, soltanto un’ipotesi priva di alcun riscontro, ma sufficiente per decretare la morte del figlio.Un intervento di routine, lo definiscono i medici, e d’altra parte più di centomila esseri umani ogni anno nella sola Italia muoiono così. Eppure questa volta una «fatalità» – come l’ha chiamata il direttore sanitario del Cardarelli – si è portata via anche la madre, uccisa in tre ore da un’emorragia inarrestabile. «Non si può morire così giovani», è stato il giusto grido dei genitori, che hanno reagito con rabbia a quella seconda tragedia non prevista. Si riferiscono alla figlia, non una parola però per quell’altra vita ancora più giovane e del tutto inerme, spentasi poche ore prima di sua madre. Nella giusta indignazione per la perdita di una vita, si dà invece per scontata l’altra, scelta, decisa, programmata, persino consigliata. «È un caso di malasanità», si ribella ora il padre della giovane e nonno del bambino, e ancora una volta ha ragione più di quanto egli stesso non sappia, perché dietro la duplice tragedia di Napoli c’è anche la malasanità. Non solo o non tanto quella accaduta in sala operatoria, sulla quale tre inchieste aperte dalla Procura, dall’Ospedale e dal Ministero della Salute faranno luce, ma quella che ha indotto Gabriella a interrompere la sua gravidanza in spregio anche alla legge degli uomini che vige in Italia. Si può abortire, entro le dodici settimane, solo in pochi gravissimi casi – dice il testo della 194 ("Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza") – ovvero se la salute fisica o psichica della madre è messa «in serio pericolo» da circostanze estreme, tra cui le «previsioni di malformazioni del concepito». Previsioni che qui però non c’erano. Prevedere è il contrario di ipotizzare. Prevedere è avere gli elementi, sapere cosa accadrà. In questo caso, invece, non un indizio, non un’analisi sospetta, non un sintomo, non un’ombra su quel piccolo essere umano forse "perfetto" e forse no (come tutti noi), ma nel dubbio eliminato prima che fosse troppo tardi...Già, perché il limite imposto dalla legge 194, i tre mesi entro i quali sarebbe "lecito" uccidere il feto, troppo spesso anziché un deterrente diventa un’istigazione a fare in fretta. E per Gabriella il tempo era già agli sgoccioli. Quante donne ci hanno raccontato di essere state ingannate. Quanti ginecologi, anziché applicare la legge facendo tutto il possibile per rimuovere le cause che le hanno portate all’atroce prospettiva, presentano l’eliminazione del figlio come unica via di uscita. Quanti consultori, invece di spiegare le mille alternative all’aborto che sempre esistono, lo additano come sbocco ineluttabile... Gabriella ha scelto, ci dicono ora, ma davvero ha potuto farlo? Chi l’ha consigliata, indotta, avviata le ha spiegato che suo figlio probabilmente era sano? Che non c’era alcuna "pre-visione" perché nulla di anormale si vedeva? Che c’erano tante altre scelte, oltre a quella che è stata caldeggiata? Con quale spavento e confusione avrà alla fine ceduto?Noti e frequenti sono i casi di madri che, scoprendosi incinte, interrompono la chemioterapia pur di privilegiare la buona crescita del proprio bambino. Gabriella, affetta non da un tumore, ma da un fungo della pelle, aveva di fronte un bivio molto meno eroico, ma forse le pressioni degli adulti hanno avuto la meglio. Allora due persone, non una, in realtà non hanno potuto scegliere niente. Due i morti di aborto. Due le vittime. Anche di malasanità.Il suo bambino metteva «in serio pericolo la salute della madre» – ha ritenuto qualche medico consultando la legge –, ma oggi Gabriella sarebbe viva insieme a lui, se proprio l’aborto non se li fosse portati via entrambi. E questo è il paradosso più tragico.
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