venerdì 6 settembre 2013
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Spiazzati un’altra volta, verrebbe da dire dopo aver letto per l’intera settimana le reazioni degli opinion leader e dei giornali sull’invito al digiuno di Papa Francesco. C’è chi non capisce il nesso con l’imminente minaccia di una guerra, come Vittorio Feltri sul Giornale (ma non capire può anche voler dire che mancano categorie di lettura...) e chi invece punta sul discorso della dieta, confondendo i piani. E riducendo al piccolo orizzonte di se stessi. Curiosa è poi l’associazione digiuno uguale protesta, quasi che Pannella, con i bagni mediatici di questi anni abbia dettato la linea, esattamente come la detta Bruno Vespa quando fa una delle sue trasmissioni dedicate alle diete che sortiscono l’effetto di non chiarire mai le idee. Ma quella del Papa è davvero un’altra cosa, che implica innanzitutto un desiderio di seguirlo per capire più a fondo cosa voglia dire questo momento storico. Seguirlo nel gesto del digiuno significa cercare un centro, affidarsi a un’idea di distacco che alla fine incide sulla coscienza di ciascuno più che sull’adipe, come hanno ironizzato alcuni. Ciò che, infatti, manca in questo tempo è una coscienza comune rispetto a ciò che vale veramente. E il digiuno apre una domanda proprio a questo: cosa vale, per cui conviene "rinunciare" a posizioni personali che possono condurre addirittura a dei conflitti? Certo l’esperienza del digiuno è anche un esercizio alla misura e, materialmente, a ciò di cui abbiamo bisogno, che proprio l’esperienza della fame è capace di risvegliare. Alcuni studiosi di alimentazione hanno rilevato che nella dinamica della Chiesa ci sono tante risposte ai bisogni dell’oggi, anche in fatto di alimentazione. Ma che tutto si riduca poi alla Fast Diet è come troncare la possibilità di conoscere qualcosa di più profondo. Come la regola di San Benedetto che codifica la misura (anche il vino, che è indicato in un’emina al giorno, corrisponde più o meno ai due bicchieri che mettono d’accordo quasi tutti i dietologi moderni). Ma il fascino di quella regola sta nel fatto di stare sempre sopra al rischio di dipendere da altro che non sia l’Altro. I monaci, mi spiegò il sociologo Leo Moulin, quando lo conobbi 20 anni fa, mangiano in silenzio non per un misticismo particolare, ma perché in quel modo vivono una tensione al gusto (a ciò che hanno davanti per saziarsi con misura) e poi perché si educano a essere attenti alle esigenze del vicino. Esigenze concretissime: gli manca il sale e glielo passo, gli manca l’acqua e gliela verso. In questo modo mangiano esattamente come se pregassero con il recto tono, realizzando un unisono, ossia una comunione anche in quel gesto molto concreto e materiale. Ma pensiamo solo se in un normale pranzo a casa nostra avessimo le medesime attenzioni (ma anche solo un centesimo) dei monaci intorno alla loro mensa. Detto questo, il digiuno di Papa Francesco a me sembra un fantastico invito alla comunione, sedimentata dal silenzio, che può far molto di più dei tanti "ma" e dei tanti "se", che coinvolgono le povere discussioni di questi giorni. E se il segreto per capire fosse semplicemente provare a seguire senza retropensieri quello che dice il Papa? Costa proprio così tanto?​​​​
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