mercoledì 28 marzo 2012
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Lottare, ora dopo ora, per dare un «sapore» all’esistenza, per colorare i nostri giorni, per essere – o almeno sembrare – felici, per ottenere una vita lieta e fortunata. Ma poi la sera, nell’ora del sonno, chiudere gli occhi sapendo di aver cercato invano, con un senso amaro di insoddisfazione, come se qualcosa in fondo ci sfuggisse, forse proprio quel «sapore» che alla luce del giorno l’esistenza sembrava avere, ma nell’incontro notturno con la nostra coscienza evapora come un sogno. Quanti di noi conoscono bene queste sensazioni? E quante volte – fiaccati dall’inutile battaglia – abbiamo visto proprio quella gioia misteriosa negli occhi di un uomo o di una donna, scoprendo poi che la fonte da cui attingevano era la certezza della fede? La vita sa essere un tormento, ogni esistenza prima o poi incontra il suo calvario e ha una croce da portare. E la fede certo non preserva da tutto questo, eppure «un cristiano non può mai essere triste». Lo ha ricordato Benedetto XVI, nel suo messaggio per la XXVII Giornata mondiale della Gioventù in programma nelle diocesi domenica prossima, parlando ai giovani del mistero della gioia cristiana, non in senso astratto ma riflettendo sulle strade per trovarla e per esserne messaggeri. Per diffonderla come un contagio che guarisce. Tutti noi aspiriamo alla gioia, ma quella di cui il Papa ci parla non ha nulla a che vedere con la soddisfazione passeggera che ci appaga giusto il tempo per accorgerci che siamo più vuoti di prima. È piuttosto una condizione salda, stabile, costante perché radicata nelle fondamenta di una certezza: Dio è amore, e chi ama sono io. Il male – ce lo ha detto Lui – non avrà l’ultima parola, Cristo ha vinto il peccato e ci chiede solo di non avere paura, di riposare nella fiducia, di sapere che qualunque sofferenza, se accolta con l’abbandono del «sia fatta la Tua volontà», non può che originare un bene più grande. Ecco perché al cristiano si addice il dolore ma non la di-sperazione, e la sua gioia è motivata dal lieto fine di cui non dubita mai. Concetti evidenti per chi già li prova, ma un traguardo sempre in movimento anche per la maggior parte dei credenti, quotidianamente messi alla prova dalla vita stessa e dalle sue tentazioni, prima tra tutte la pretesa che sia Dio a fare la nostra volontà. Ecco allora l’importanza dei testimoni, ragazzi stra-ordinari che il Santo Padre addita come fari cui guardare nella notte delle tragedie più dolorose e ai nostri occhi ingiuste (la morte di un bambino, la carestia di un popolo, la strage di un terremoto): i beati Pier Giorgio Frassati, morto a ventiquattro anni nel 1925, e Chiara Badano, «più vicina a noi», portata in cielo da un cancro non ancora ventenne nel 1990 e chiamata Luce per la gioia che illuminava la sua agonia: Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io. «Sono due semplici testimonianze tra molte altre», avverte il Papa, che ai giovani infatti chiede di farsi tutti «missionari della gioia», di «portarla nelle vostre famiglie», «nelle scuole», «nei gruppi di amici, là dove vivete». E così ci tornano in mente gli occhi di Alessandra Pelagatti, due aborti e un tentato suicidio alle spalle (l’abbiamo raccontata su queste pagine), oggi innamorata di Cristo e serena testimone della potenza travolgente del Suo amore; o quelli di Andrea, un giovanissimo di Gavirate (Varese) da poco morto di leucemia: agli amici che gli chiedevano un messaggio da portare a Medjugorje, ha consegnato una preghiera per gli altri («chiederTi qualcosa per me sarebbe scontato ma soprattutto egoistico») e per se stesso solo un «sia fatta la Tua volontà, non la mia». Una gioia incomprensibile per chi non crede, persino fastidiosa, come l’allegria dei fedeli irrita l’Innominato manzoniano nella notte che precede la conversione. «Una fuga dalla realtà», storce la bocca chi cerca spiegazioni a una fiducia che non conosce e forse invidia. «Una forza soprannaturale per affrontare le difficoltà quotidiane», risponde il Papa. Sapere di essere amati in questo modo rende invincibili. Tutto il resto, «potere, successo, denaro», lascia immancabilmente sempre più soli. Ma Dio non ci dà ultimatum: fino all’ultimo ci attende per la Riconciliazione, «vi aprirà sempre le Sue braccia», anche per accogliere l’anima più nera.
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