venerdì 12 luglio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
La destitu­zione del presidente egiziano Mohammed Morsi a seguito delle rinnovate manifestazioni di piazza Tahrir, questa volta contro sue carenze politiche a fronte della grave crisi economica del Paese, non è avvenuta legalmente, anche se i dimostranti hanno pubblicato una richiesta di destituzione sottoscritta da un numero di elettori superiore a quello con cui Morsi era stato eletto. Argomento questo certo costituzionalmente non valido per tale destituzione, ma che va a bilanciare il cumulo di carenze costituzionali a sua volta fatte registrare dalla presidenza Morsi: dalla approvazione per referendum popolare non molto partecipato di un testo predisposto da una commissione priva della componente non islamista (testo che lo stesso Morsi aveva promesso di far modificare), allo scioglimento della Camera bassa a opera della Corte costituzionale per irregolarità elettorali. Il ruolo determinante dell’esercito nella destituzione del presidente in carica ha fatto parlare di golpe. Ma anche la 'primavera araba' del 2011 non era finita in un golpe? E c’è da chiedersi se la vittoria elettorale dei Fratelli Musulmani dopo di esso non sia stata un esito indifferente ai valori ed alle ragioni che avevano allora sospinto i moti di piazza Tahrir. Ora, sembra che Fratelli Musulmani da un lato, e Piazza Tahrir prima e seconda dall’altro, vadano ricondotti ai modelli costituzionali loro confacenti: i primi al modello 'confessionale' (islamista) e le seconde a quello 'non confessionale' (o laico, che dir si voglia). Non solo; perché va anche detto che il modello 'non confessionale' di piazza Tahrir non è un modello filoamericano, ma storicamente autoctono che segna la fine in Egitto dell’accettazione fideistica della politica e lo schieramento per una politica da giudicarsi per i suoi risultati. In questa alternativa tra confessionalismo e non confessionalismo, il 'legittimismo' di parte dei Fratelli Musulmani sa di politica sottratta alle sue responsabilità. Fermo restando che il modello confessionale in questione – di per sé emarginatore dei cristiani copti e non solo di essi – sembra, comunque, reggersi sull’assunto che le condizioni del Paese siano irrilevanti per la legittimazione politica di chi governa. Il che non è. È vero il contrario. La legittimazione politica è condizionata dalla capacità dei governanti di assicurare condizioni generali del Paese accettabili da parte dei cittadini. C’è da sperare che la futura costituzione egiziana ne tenga conto, ad evitare nuovi 'golpe'.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: