mercoledì 30 luglio 2014
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I morti del Medio Oriente scompaiono velocemente, annegati dentro la contabilità quotidiana. Fino a ieri oltre 1.200 vittime tra i palestinesi, tra gli israeliani poco meno di 60. Oggi si vedrà. Nella Striscia di Gaza bombardata, in particolare, i fotografi e i video-operatori devono fare in fretta, se vogliono documentare ciò che accade e raccontarlo a tutto il mondo. I bambini avvolti nei loro corti sudari bianchi, scoperto solo il volto, vengono calati nelle tombe prima del tramonto. Poche ore e restano a piangerli solo i parenti. Se ne vanno come un soffio. Un attimo prima si spingevano sull’altalena, come in tutto il mondo fanno i ragazzini, un attimo dopo sono sottoterra. L’ultimo bilancio dell’Onu parla di più di 200 bimbi palestinesi uccisi.E noi, in Italia, nel nostro fine-luglio piovoso, accompagniamo i piccoli martiri guardando le foto o i video con quella giusta dose di pietà che il caso richiede. Ma li archiviamo il più velocemente possibile, quasi nascondendo anche a noi stessi l’orrore di quei sudari, il Male nudo ed estremo di quelle morti. Lo camuffiamo dietro le analisi storiche-politiche più raffinate. O più banali. Ecco: la guerra tra Hamas e Israele non è la prima, non sarà forse l’ultima. Da decenni i contendenti non riescono a trovare punti di dialogo, le ragioni e i torti sono sedimentati, distribuiti in entrambi i campi. In fondo, bisogna essere realisti: Hamas combatte la battaglia senza rispetto per il suo stesso popolo, e oltre duemila razzi finora sono stati lanciati sulle città israeliane per uccidere i civili, non certo per illuminarne le notti. Realisti, dunque. Ma non sarebbe forse meglio dire che siamo ormai rassegnati a una situazione che sembra priva di vie d’uscita? Non si metteranno mai d’accordo, è il ritornello di chi se ne intende. Allora rassegnati è un’altra parola per dirci impotenti. Amaramente e umanamente impotenti di fronte a quei bimbi palestinesi uccisi non si sa nemmeno da chi, mentre saltavano sulle loro povere giostrine nel giorno della festa di Eid el-Fitr, la fine del Ramadan.Però non basta. Di fronte alla somma ingiustizia di quelle morti servirebbe ancora indignazione. Le vite spezzate di Bara-a, 6 anni, di Jamal-Ilyan, 10, due degli otto bambini morti lunedì nella Striscia di Gaza, così come quelle dei tre adolescenti israeliani rapiti e uccisi lo scorso giugno dai miliziani palestinesi, sono ancora e sempre saranno uno scandalo. Le analisi politiche, le strategie militari, le colpe storiche non cambiano di una virgola l’essenza di questo scandalo. Il Papa l’ha detto domenica dopo l’Angelus, quasi piangendo: "Fermatevi, per favore! Ve lo chiedo con tutto il cuore. È l’ora di fermarsi!". Non solo, ma soprattutto per i bambini "ai quali si toglie la speranza di una vita degna, di un futuro: bambini morti, bambini feriti, bambini mutilati, bambini orfani, bambini che hanno come giocattoli residui bellici, bambini che non sanno sorridere. Fermatevi, per favore!".Il grido commosso del Papa ci indica la strada per trasformare quell’umanissimo senso di impotenza (o rassegnazione, che poi è lo stesso) che ci coglie di fronte all’ennesima guerra israelo-palestinese. E farla diventare, se si crede, preghiera intensa perché, al di là dei torti e delle ragioni, si fermino le armi. I pacifisti di casa nostra si potrebbero sentire interpellati, e invitare a scendere in piazza in massa, tanti, tantissimi, non per presidiare le ambasciate di Israele agitando cartelloni a loro volta bellicosi, come accade altrove nel mondo, ma per dire semplicemente, ingenuamente, rozzamente anche: basta bambini morti nelle guerre.Senza un moto forte di indignazione non sarà mai chiesta giustizia per Bara-a, per Jamal-Ilyan e per i loro amici. Passassero anche mesi, anni, l’opinione pubblica deve esigere di sapere chi li ha uccisi, chi ha innescato le ciniche tattiche e gli esplosivi che hanno stroncato le loro vite. Questo vogliamo: giustizia per chi è morto. E futuro per chi è (ancora) vivo.
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