martedì 3 aprile 2012
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​Tutto il potere alla Fratellanza. Il movimento islamista che ha stravinto le prime elezioni libere del dopo-Mubarak può contare sulla maggioranza dei deputati nel nuovo Parlamento e controlla l’Assemblea costituente incaricata di redigere la Carta fondamentale del nuovo Egitto. Ma ai Fratelli Musulmani tutto questo non basta. E con un clamoroso voltafaccia, dopo aver giurato pubblicamente in tutti questi mesi di non mirare alla più alta carica dello Stato, hanno deciso di presentare un loro candidato alle prossime elezioni presidenziali del 23 e 24 maggio. Non una figura qualsiasi, ma il numero due del movimento: Khairat al-Shater, di fatto l’uomo-simbolo della Fratellanza di cui è ideologo, finanziatore e stratega politico. È considerato uno dei più ricchi imprenditori d’Egitto, abilissimo nel dirigere il suo impero economico anche dal chiuso di una cella di prigione, dove ha trascorso dodici anni. Insomma, una candidatura forte che irrompe come un ciclone nella gara alla poltrona di raìs e prefigura un nuovo regime all’insegna dell’integralismo islamico dopo quello autoritario di Mubarak. Una mossa a sorpresa che i Fratelli Musulmani hanno cercato di giustificare con la necessità di opporsi all’arroganza della giunta militare. In queste settimane infatti il Consiglio supremo delle Forze Armate ha bloccato la formazione di un nuovo governo a guida islamista e non sembra intenzionato a lasciare il potere. Ma i contrasti più laceranti sono esplosi all’interno dell’Assemblea costituente dove i Fratelli Musulmani hanno il monopolio assoluto. In segno di protesta la minoranza liberal-democratica ha deciso di non prendere parte alle sedute. Ieri il boicottaggio è stato annunciato anche dai delegati della Chiesa copta. E gli stessi giudici della Corte Costituzionale si sono ritirati dall’Assemblea, sulla cui legittimità dovrà pronunciarsi il tribunale del Cairo. Incurante delle proteste il blocco islamista, composto dalla Fratellanza e dai rappresentanti del movimento salafita, intende portare avanti la stesura di una nuova Costituzione ispirata ai principi della sharia. È una china pericolosa quella che sta imboccando l’Egitto, a differenza di quanto deciso pochi giorni fa in Tunisia dove il partito islamista Ennahda ha deciso di mantenere il primo articolo della vecchia Costituzione escludendo il ricorso alla legge coranica. Maestri di doppiezza, i Fratelli Musulmani d’Egitto si presentano come sostenitori della tolleranza e della democrazia ma non transigono sui principi dell’islam politico. Ed il loro candidato alla presidenza, al-Shater, è un campione d’ambiguità: conservatore e pragmatico, accentratore all’interno del movimento e dialogante con chi sta fuori, teorico dell’economia islamica e amico dei finanzieri di Wall Street oltre che in buoni rapporti con il Dipartimento di Stato americano. Prima che venisse annunciata ufficialmente sabato sera, la candidatura di al-Shater era stata anticipata ad Hillary Clinton che non ha avuto obiezioni. Il suo portavoce ha dichiarato che «gli Stati Uniti non sono allarmati dai nuovi sviluppi della campagna presidenziale in Egitto». Finora nei sondaggi risultava in testa Amir Moussa, l’ex segretario generale della Lega Araba. Anche l’ex esponente dei Fratelli Musulmani, Abdel Aboul Futuh, gode di un consenso non indifferente, soprattutto tra gli attivisti democratici di piazza Tahrir. Ma lo scenario è cambiato con la discesa in campo del miliardario islamico, l’asso pigliatutto della Fratellanza che insegue il potere con un cinismo degno di Machiavelli.
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