venerdì 2 novembre 2012
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​A una manciata di giorni dal martedì che deciderà chi sarà il presidente americano per il prossimo quadriennio, Barack Obama allunga, forse in maniera decisiva, rispetto allo sfidante Mitt Romney. Il suo consenso cresce soprattutto negli Stati in bilico, quelli la cui conquista fa la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Ben più che un travolgente voto popolare, infatti, quello che porta dritti dritti alla Casa Bianca è raccogliere la maggioranza dei cosiddetti "voti elettorali", cioè dei delegati che eleggono formalmente il presidente degli Stati Uniti. Quattro anni fa, Barack Obama ottenne circa il 52% dei consensi validi espressi. Una percentuale che può apparire non così elevata, e che invece rappresenta una delle migliori mai registrate nell’intera storia del Paese. Quest’anno, anche se le cose dovessero continuare a migliorare per lui fino alle ultime ore prima della chiamata ufficiale alle urne (senza dimenticare che molti hanno già votato), è assai difficile che il presidente in carica possa replicare una simile performance. Il giudizio complessivo sul suo operato nei quattro anni del suo nel primo mandato non è entusiastico, neppure presso i suoi sostenitori. La stessa atmosfera di eccitata tensione che si respirava a fine ottobre 2008 è solo un ricordo. Molti di quelli che voteranno per il presidente lo faranno perché convinti che egli rappresenti "il male minore" rispetto a Romney. Il quale peraltro ha condotto una campagna elettorale molto efficace ed è riuscito a liberarsi dall’immagine di candidato inaffidabile che lo staff di Obama aveva cercato di cucirgli addosso. Si osserverà, correttamente, che nei sistemi maggioritari l’elezione si risolve spesso in una simile scelta; ma occorre anche ricordare che, quattro anni fa, la candidatura e poi la vittoria di Barack Obama rappresentarono un segnale di riscossa e di speranza per un Paese che era provato dalle lunghe guerre afghana e irachena e da una crisi economica che aveva portato con sé anche una profonda e diffusa diffidenza sull’efficacia delle regole che presiedono alla correttezza e alla trasparenza del mercato. Quattro anni dopo, la crisi continua a mordere, il numero dei disoccupati resta molto alto per lo standard americano, le diseguaglianze sociali non sono state intaccate e il ceto medio è sempre più impoverito. Difficile immaginare che in queste condizioni l’attuale capo della Casa Bianca possa bissare il successo del 2008.Anzi, qualora dovesse riuscire a spuntarla, Obama sarebbe il primo presidente capace di ottenere la rielezioni pur in presenza di simili (cattivi) dati sull’occupazione e più in generale sull’economia. Il rischio che si palesa è che Obama possa sì riuscire a ottenere la maggioranza dei "voti degli Stati", senza avere però quella dei consensi popolari. Un evento, questo, non inedito: capitò la stessa cosa a George W. Bush in occasione della sua prima elezione, quando sconfisse il rivale Al Gore anche grazie a un contestato successo ottenuto al fotofinish in Florida (dove era governatore il fratello del futuro presidente). Ma ovviamente la cosa suonerebbe assai più sgradevole per un presidente in carica, indebolendolo nei confronti dell’opinione pubblica, dei media e soprattutto del Congresso. Quello che appare pressoché certo, oltretutto, è che chiunque vinca si ritroverà nella condizione di avere almeno un ramo del Congresso controllato dall’opposizione. I democratici dovrebbero infatti riuscire a mantenere il controllo del Senato, mentre i repubblicani sarebbero ancora in maggioranza nella Camera. È la cosiddetta condizione dell’"anatra zoppa", quella in cui il l’espressione del potere esecutivo non può contare su un potere legislativo allineato. Ancora una volta si tratta di un evento tutt’altro che raro, ma quasi mai verificatosi nel primo biennio del mandato presidenziale. E se il modo in cui Obama si è comportato nella gestione dell’emergenza causata dall’uragano Sandy è stato molto apprezzato (8 americani su 10), è difficile che questo si ripercuota anche nelle urne per il rinnovo del Congresso e di un terzo del Senato.
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