sabato 7 novembre 2015
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Quella Uno aveva qualcosa di strano. Era a tutti gli effetti una Uno Sx, il modello superiore e accessoriato di un’autovettura comunque sobria, popolare, allora la più diffusa in Italia. Eppure il marchio sul portellone era quello di una Uno normale. Quando, 27 anni fa, feci notare la cosa a don A., parroco veneto, lo vidi abbassare il capo. Quella Uno era sua, e stava per farmi una confessione. Un suo parrocchiano, caro amico, proprietario di alcune concessionarie, continuava a ripetergli: non puoi andare in giro con quel catorcio, prima o poi ci resti secco. Così una mattina si presentò davanti alla canonica con una fiammante Uno Sx: è tua, disse a don A., è un mio regalo e devi accettarla. Il parroco accettò, ma si diresse subito da uno sfascia carrozze, dove non gli fu difficile procurarsi il marchio di una Uno modello base. Non poteva non accettare il regalo, l’auto gli serviva, ma non poteva nemmeno esibire quello che per lui era il simbolo di un lusso inaccettabile.I preti come don A., in Italia, sono tantissimi. Sono la grande maggioranza. Conducono una vita sobria che talvolta sfiora l’indigenza. Poi sono proprio quelli a cui parrocchiani e amici fanno più offerte e regali, mettendoli spesso in imbarazzo. Ma quando i media rilanciano la notizia dell’esistenza sfarzosa, reale o apparente, di qualche esponente del clero, non possiamo dimenticare che si tratta di eccezioni. Sono gravi. Per certi aspetti fanno perfino rabbia, perché ti senti "tradito". Ma la normalità di preti e vescovi è un’altra. È quella delle migliaia di don A. (e dei loro buoni vescovi) che di fronte a questi fatti di cronaca tacciono, ma in cuor loro si sentono umiliati perché è la Chiesa, la Chiesa di cui sono a servizio, la Chiesa di cui non si servono, la nostra Chiesa a essere umiliata da bugie o lussi egualmente inaccettabili.«Anche nella Chiesa c’è chi, invece di servire, si serve della Chiesa: gli arrampicatori, gli attaccati ai soldi. E quanti sacerdoti, vescovi abbiamo visto così. È triste dirlo, no?». Sono le parole di Francesco all’omelia di ieri mattina a Santa Marta. Il Papa non teme di denunciare la «Chiesa affarista» abitata anche da chi cede alla «tentazione di una doppia vita». Intervistato dal giornale olandese di strada Straatnieuws è stato ancora più diretto: «La Chiesa deve parlare con la verità e anche con la testimonianza: la testimonianza della povertà. Se un credente parla della povertà o dei senzatetto e conduce una vita da faraone: questo non si può fare». Mai nessun pontefice, prima di lui, era stato tanto esplicito. Di più: Francesco non si limita a predicare la sobrietà ma la vive in modo manifesto ed esemplare. «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni», ricordava Paolo VI.Nel suo essere "testimone radicale", da Papa, Francesco in questo specifico senso è una novità (sebbene altri grandi Papi, e certamente dal Concilio Vaticano II in avanti, abbiano personalmente vissuto in una essenzialità luminosa e segretamente eroica). Ma in realtà non fa che applicare quanto proprio il Concilio Vaticano II chiede a ogni presbitero. Il decreto Presbyterorum ordinis ("Il ministero e la vita sacerdotale") ha esattamente 50 anni. Discusso, votato e approvato il 7 dicembre 1965, il paragrafo 17 ha questo titolo: «Distacco dai beni terreni e povertà volontaria da ricercare». I preti, scrivono i padri conciliari, si accontentino del necessario e «il rimanente sarà bene destinarlo per il bene della Chiesa e per le opere di carità». A qualunque incarico siano destinati, non ne traggano alcun vantaggio economico per sé e la propria famiglia: «I sacerdoti, senza affezionarsi in modo alcuno alle ricchezze, debbono evitare ogni bramosia e astenersi da qualsiasi tipo di commercio».Francesco ha spiegato da subito perché abbia deciso di sistemarsi a Santa Marta. Forse non ci ha pensato; forse non ha voluto rimarcarlo; ma la sua scelta è un’adesione radicale, essendo lui il Papa, a quanto il Concilio ricorda a presbiteri e vescovi: «Vedano di eliminare nelle proprie cose ogni ombra di vanità. Sistemino la propria abitazione in modo tale che nessuno possa ritenerla inaccessibile, né debba, anche se di condizione molto umile, trovarsi a disagio in essa». Santa Marta, insomma.Parole remote e dimenticate? No. Sono concetti che ritornano, nel magistero della Chiesa. Basta ricordare Sovvenire alle necessità della Chiesa, documento Cei del 1988, che parla appunto del denaro e del rapporto dei fedeli laici e del clero con esso. La parola trasparenza vi ritorna più volte. Ai preti, in particolare, ricorda: «Occorre "lasciare tutto" davvero, comprese le ansietà sfiduciate e la ricerca di sicurezze per vie che non sono evangeliche» (16). Vent’anni dopo, il documento Cei Sostenere la Chiesa per servire tutti ripete ai preti: «La nostra disponibilità personale a una vita sobria e autenticamente evangelica rafforzerà la credibilità alla nostra opera educatrice».Francesco non compie alcuno strappo, dunque, ma parla e agisce, da maestro e testimone, nel solco più nobile della tradizione recente della Chiesa e del magistero. E quando gira in utilitaria non è certo per ostentare pauperismo, ma solo per restituire orgoglio ai tanti fedeli che quella vettura, e non altro, possono permettersi. Per dire ai tanti don A. e ai suoi parrocchiani: siamo sulla stessa barca, cioè sulla stessa auto. A testa alta.
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