domenica 6 gennaio 2013
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L’Oriente non è più quello di una volta, ma nemmeno l’Occidente se la passa tanto be­ne. Le ombre inquietanti della divisione e della collera, dell’invidia e della separazione - per ra­gioni essenzialmente materiali di beni e di domi­nio – li rendono molto simili. L’Epifania cristiana del Figlio è celebrata come un mistero di luce che viene dall’Oriente. Quale luce? Il suo Natale illu­mina tradizionalmente l’Occidente, animando di futuro l’orizzonte della generazione. Quale futu­ro?
Il cristianesimo dell’incarnazione di Dio – l’unico per tutti i punti cardinali – ha messo a dimora un punto di sintesi che non solo non esisteva, ma e­ra anche impensabile. Dio ha messo su casa in un piccolo lembo sporgente dell’Oriente, con desti­nazione verso l’Occidente. Raccoglieva lo spirito di attese e promesse accese da un passato imme­morabile, sulla via del sole. La casa, si fa per dire, fu messa su con mezzi di fortuna. Infatti non do­veva rimanere semplicemente lì, Dio.
La stella che viene da Oriente ha esaurito il suo compito: ora è il Figlio, lui stesso, la luce da se­guire. La casa della nascita era per diventare co­me noi, muoversi con noi, rendersi visibile e a­mabile nel passaggio delle generazioni e nella di­slocazione degli insediamenti. Così che, dove a­bitano umani, il Dio della loro creazione e della lo­ro fratellanza potesse essere incontrato e ricono­sciuto nell’irrevocabile umanità del Figlio in cui tutti siamo amati e destinati: per un’esistenza che si forma nel grembo stesso di Dio.
La nuova Europa – non quella del mito, quella del­l’umanesimo – nacque così. Mille volte fraintesa, mille volte tradita, persino da coloro che ne do­vevano ispirare la religione e la filosofia migliore, essa ricevette di qui la sua vocazione migliore. Transitare la generazione del Figlio da Oriente a Occidente, dal passato al futuro, incessantemen­te arricchendola d’oro, di incenso, di mirra, e di o­gni bellezza. Non nacque certo, neppur essa, la casa Europa, per diventare una dimora perma­nente: e trasformarsi nella città di Dio sulla terra. Se peccò per questa presunzione (e Dio sa che lo fece, e anche noi, ora), non prolunghi il suo erro­re e si converta seriamente. Ma se ora è tentata di peccare per omissione, e i­gnavia e indifferenza all’avvento di Dio, pensan­do a rinchiudersi nell’improbabile rendita (e ora sappiamo anche questo) del suo materiale be­nessere e della sua ottusa cura di sé, è tempo che si converta risolutamente anche da questo.
Un bel giorno dovrà rimettersi nella sua testolina dura questa idea: la sua capacità di trarre dall’in­carnazione di Dio doni per l’Oriente e per l’Occi­dente fu la stella della sua nascita, il genio delle sue imprese e delle sue felicità migliori. Proprio quel­le che, in ogni tempo e in ogni luogo, ci rendono orgogliosi di essere umani. Dalle altre, di qualun­que segno, possiamo congedarci fin d’ora risolu­tamente. Siamo stremati dal tignoso calcolo del­le responsabilità, che non muove una foglia e ci lascia come Giobbe fra i cocci di tutto.
L’Europa ha da imparare, guardando alla piccola dimora della Luce sulla quale, una volta per tutte, si è fermata la stella di Dio. Il segreto della sua u­scita dall’oscurità e dal declino si illumina proprio in quel punto. Il suo destino è affine a quello del­la capanna accogliente di Betlemme: credeva di o­spitare una famiglia in difficoltà, accese il punto­luce cruciale di tutta la storia degli esseri viventi. I credenti non dovranno temere di riscaldare con la loro fede autentica, e rinnovando essi stessi l’a­more della loro prima ora, l’indifferenza che la cultura dominante ci assegna come un compito. Basta. Deve passare la nottata. Non dire niente a Erode, non perdere tempo con i suoi esper­ti di immagine e con i suoi giochi di palazzo. Segui la stella dei Magi. Usciranno dall’oscurità a migliaia, commossi ­ finalmente - dalla scia luminosa di Dio, che ri­mette in moto l’allean­za dei figli d’uomo, da Oriente a Occidente. ​
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