mercoledì 28 gennaio 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Informati su tutto, consapevoli e mobilitati su nulla. L’alluvione di notizie che ci piove addosso da ogni angolo di una giornata qualunque sembra organizzata per scuotere senza sosta la nostra attenzione. Ma il flusso è tale – e così apparentemente inafferrabile – che in mano, nel cuore, alla fine ci resta una memoria confusa di piaghe, conflitti, garbugli etici indecifrabili. Tutto e niente. Il mondo ci scorre sotto gli occhi, ma la mole dei fatti e l’entità dei problemi sembra fatta apposta per disinnescare sul nascere ogni generosa disposizione a compromettersi, a sentirsi chiamati a una parola, a prender parte per l’uomo che soffre, la vita che si spegne, l’innocente calpestato. Siamo dentro quel che succede, ma allo stesso tempo fuori, coinvolti ed estranei. Dicono che la comunicazione digitale ci ha resi attori protagonisti smuovendoci dalle gradinate dov’eravamo comodamente seduti per portarci in campo a dire la nostra. Ma poi è davvero così? O tutta la cittadinanza globale così decantata si esaurisce in un "like" postato su Facebook?Il mondo chiama e respinge, si vive sulla superficie di questioni così complesse da sembrare abissi inesplorabili. E alla fine nessuno può restare impermeabile al pragmatico richiamo della vita – personale, familiare, del piccolo gruppo di relazioni di ogni giorno – che domanda di essere sbarcata senza tante storie, come un bilancio che alla fine andrà pure fatto quadrare. Niente di male allora, forse, se restringo il campo visivo al cabotaggio quotidiano, abbassando il volume del mondo – del prossimo formato globale – che col suo eccesso stordisce e sgomenta, fa sentire insopportabilmente impotenti. Così ridimensionata, l’anima sta a malapena dietro agli affanni di ogni giorno, e figuriamoci se ho tempo e voglia di occuparmi d’altro, di prendermi la fatica di un giudizio, un impegno, una risposta, e persino un’informazione in più. Basta quel poco che serve a viaggiare senza prendere buche. Eccola, allora, l’indifferenza: come una gramigna infestante, non l’hai vista arrivare, ma ha già messo radici, ed è diventata erba, pianta, campo. Si prende tutto, ingrigisce lo sguardo, soffoca la speranza come la cenere col fuoco. E si finisce impassibili spettatori bene informati ed educati, imperturbabili e insensibili.In giornate come quella di ieri, dedicata alla Memoria dell’orrore di cui l’uomo è stato capace sotto il naso di altri uomini, è risuonata una volta ancora la geniale e implacabile espressione di Hannah Arendt che per descrivere di cosa si nutrisse l’abiezione nazista parlava di «banalità del male», così togliendo ogni alibi a chi crede che le degenerazioni della natura umana siano a tal punto eclatanti da essere riconoscibili a prima vista, così clamorose da diventare un bersaglio ben visibile, esecrato, sbaragliato. Invece il male – anche il male peggiore – s’insinua e prospera nell’abitudine a vederselo vicino di casa senza muovere un dito. E chi gli apre una volta ancora la porta del mondo è l’indifferenza.Chiamando i cristiani a scuotersi dalla polvere e dal torpore di una fede rattrappita su se stessa, il Papa indica proprio nell’indifferenza la «tentazione» che andrà affrontata in una Quaresima finalmente coraggiosa. Manca meno di un mese al Mercoledì delle Ceneri (sarà il 18 febbraio), ma l’agenda è già chiara: «Succede – scrive Francesco nel Messaggio diffuso ieri – che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono... Allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza. Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare». Come si reagisce? Non è una terapia d’urto quella suggerita dal Papa, ma l’incoraggiamento di un padre: «La Quaresima è un tempo propizio per mostrare questo interesse all’altro con un segno, anche piccolo, ma concreto, della nostra partecipazione alla comune umanità». L’orizzonte che si riapre a partire da te che mi stai accanto è il primo passo per una rivoluzione del cuore che neutralizza l’indifferenza là dove ci ha irretiti, la vita quotidiana. In lingua cristiana, si dice conversione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: