venerdì 6 luglio 2012
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Si tratta della sfida decisiva delle società del Mediterraneo, e non solo della sua 'spon­da Sud': costruire le classi dirigenti del futu­ro perché le speranze fiorite in questi due an­ni non vadano perdute. Proprio nell’evolvere delle rivoluzioni che hanno caratterizzato le Primavere arabe, abbiamo potuto constatare come non solo gli esiti provvisori, ma persino le modalità concrete del loro svolgersi, siano in gran parte dipesi dalla presenza o meno di classi dirigenti alternative a quelle che veni­vano rovesciate o che si tentava di scalzare. La parabola dei giovani di piazza Tahrir, de­gni esponenti della Twitter revolution, è stata per molti versi paradigmatica. Protagonisti dell’avvio della rivoluzione, partita proprio grazie al loro generoso slancio, progressiva­mente emarginati nelle fasi seguenti, fino a scomparire quando Esercito e Fratellanza mu­sulmana hanno ingaggiato il loro braccio di ferro. Una classe dirigente, d’altro canto, non s’im­provvisa. Senza dover andare troppo lontano e pensando ai tanti sedicenti incubatori di ambizioni tanto smodate quanto velleitarie, lo abbiamo visto bene nella interminabile sta­gione della sempre incompiuta transizione i­taliana. Occorre tempo, occorre un metodo, occorre un «interesse disinteressato». Tutte cose che fanno parte dell’esperienza di Ron­dine e del suo fondatore Franco Vaccari, che in tanti anni ha imparato a raccogliere le sfi­de più ardue per trasformare in realtà quelli che molti considererebbero sogni irrealizza­bili. Nel corso di ormai diversi lustri, a Rondine sono state costruite storie di amicizie «im­possibili » tra israeliani e libanesi, azeri e ar­meni, georgiani e osseti, serbo-bosniaci e mu­sulmani di Bosnia, tutsi e hutu: trasformate in realtà grazie a un metodo di lavoro fatto di bontà, disinteresse, ma anche rigore e impe­gno. Storie che sono sopravvissute al rientro a casa dei loro protagonisti, diven­tando semi di comprensione tra po­poli abituati a considerarsi nemici. Quella che Rondine lancia nei due giorni di convegno che si chiudono oggi è una sfida nuova anche per l’associazione di Vaccari, eppure siamo sicuri che la lunga esperien­za maturata nella diplomazia po­polare giocherà un ruolo determi­nante nel successo dell’operazio­ne. Saper guardare in fondo all’ani­ma delle persone rappresenta co­munque un atout non di poco con­to, soprattutto quando ci si appre­sta a fornire il proprio contributo alla costruzione di una futura clas­se dirigente. La prospettiva del po­tere può infatti corrompere più di un’inizialmente nobile ambizione. Ed ecco che allora, accanto alla con­sapevolezza delle qualità che si vo­gliono affinare e degli strumenti che si intende fornire, occorre anche un’attenzione particolare alla cre­scita complessiva di chi è soggetto del processo formativo. Pensando al crollo di Mubarak, chissà quan­ti si saranno ricordati di come la vicenda per­sonale dell’ultimo raìs egiziano incarnasse quella più generale della rivoluzione degli «uf­ficiali liberi», che avevano rovesciato la cor­rotta e inetta monarchia di re Faruk con lo scopo di dare una nuova classe dirigente e una speranza all’Egitto. Giunti al potere, già negli anni di Nasser quella nobile ambizio­ne si era consumata attraverso la corsa ai privilegi, alla blindatura del proprio pote­re, all’insostituibilità della propria figura. «Il potere corrompe. Il potere assoluto cor­rompe in modo assoluto». È una massima che non dovremmo mai dimenticare quan­do una rivoluzione abbatte un regime o pro­voca un ricambio traumatico di classi diri­genti. Nessuna di queste ultime può dirsi e­sente dai rischi che quell’adagio esprime. L’unico possibile rimedio prudenziale per attenuare i rischi della corruzione del po­tere risiede proprio nella selezione e for­mazione più accurate e disinteressate possi­bili di giovani che serbino nel loro cuore il ri­cordo del modo in cui hanno intrapreso quel lungo cammino, che preservino non solo il contenuto delle lezioni cui hanno partecipa­to, ma soprattutto la lezione di vita dei loro maestri.
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