giovedì 5 settembre 2013
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Forse non ci si è fatto caso subito. Ma dopo qualche giorno a Rio de Janeiro è accaduto un po’ a tutti gli italiani pellegrini alla Giornata mondiale della gioventù di guardarsi intorno e di chiedersi, stupìti: ma in questo Paese gli anziani non esistono? Forza dell’abitudine visiva: avvezzi al panorama demografico di casa nostra dominato quasi in ogni ambiente da teste canute, gli 8mila giovani arrivati dall’Italia si sono sentiti per la prima volta in vita loro dentro un ambiente sociale di coetanei, a spasso nella metropoli-simbolo di un Paese la cui età media non raggiunge i 30 anni. Giovani protagonisti ovunque, anche tra religiose e sacerdoti. Forse questa imprevedibile constatazione aiuta a far comprendere la fatica sperimentata dai nostri giovani nel sentirsi chiamati a dar prova di sé dentro la fibra viva del proprio ambiente, ora, non dopodomani. Vedersi già sulla ribalta appena usciti dall’adolescenza e non condannati a un’interminabile sala d’aspetto prima di potersi dire sul fronte avanzato della società dipende anche dalla semplice forza dei numeri: se i giovani sono una quota sociale fortemente minoritaria non solo stenteranno a ritagliarsi uno spazio dove mettere a frutto i talenti di ciascuno, ma si vedranno eternamente scoraggiati dal prendere sul serio ciò di cui sono capaci. In altre parole: spettatori (quasi) a vita.Con la Chiesa non è – non dev’essere – così, se non altro per la parola di Papa Francesco che a Rio, e ancora ieri alla prima udienza generale dopo la pausa estiva, ha incalzato una volta di più i giovani per incoraggiarli a non lasciarsi mettere in un angolo da nessuno, tantomeno da se stessi. «Vorrei, a tutti voi, chiedere con forza: volete essere una speranza per Dio? Volete essere una speranza per la Chiesa? Un cuore giovane, che accoglie l’amore di Cristo, si trasforma in speranza per gli altri, è una forza immensa!». E come si fa a lasciare questa dirompente energia in posizione "off", sconnessa rispetto alla rete adulta di un mondo che pare aver scelto di farne a meno? Nelle Gmg la Chiesa mostra al mondo con clamorosa evidenza che accoglie la domanda giovanile di far scorrere un torrente d’acqua fresca nei deserti interiori, dentro relazioni inaridite, in contesti umani disseminati di rovi, nel contorto intreccio di delusioni, sofferenze inespresse, solitudini. La speranza che i giovani recano nello zaino dei loro anni, moltiplicata per mille dalla fede, è un dono del quale non si può decidere di fare a meno se non ci si vuole consegnare a una disperante senescenza esistenziale.Ma è anche ai giovani che va chiesto se intendono giocarsi i loro anni per quel che vale, che resta, che decide di una vita, sgravando il proprio bagaglio dal fardello di nuovi materialismi (quant’è esteso il catalogo degli oggetti e delle passioni bruciate in una stagione...), o ambizioni d’infimo profilo. Testimoni diretti documentano che nel viaggio di ritorno da Rio molti giovani si sono sentiti alleggeriti, prima ancora che semplicemente entusiasti. Perché hanno compreso che non c’è nulla d’essenziale che eguagli quanto hanno sperimentato nelle giornate in Brasile. E perché hanno realizzato che valeva la pena di attraversare un oceano per conoscere davvero un Papa così vicino al loro cuore e, insieme, prendere coscienza sulla sabbia di Copacabana che c’è solo una roccia su cui poggiare la propria vita, e quella basta. Altro che età ingrata: gli è toccata una fortuna che nel vocabolario cristiano si chiama grazia, e reca come contrappeso una responsabilità, giusto per non credersi già a posto. Quel che si è ricevuto in dono – la fede, il Vangelo, il Papa, la stessa partecipazione anche indiretta alla Giornata di Rio – non ci appartiene, ma va offerto ad altri. Uscire, andare, spingersi fino alle periferie: e se toccasse proprio ai giovani "tirare" il gruppo?
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