mercoledì 30 gennaio 2013
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​A prima vista può apparire semplicemente come uno di quei vicoli ciechi nei quali il diritto non di rado chiude il cittadino. In realtà è qualcosa di più e di peggio: è il diritto che tradisce se stesso. È la giustizia non-giusta contro la quale ci scontriamo quando norme, idealmente poste a difesa delle persone più deboli, si ritorcono contro gli stessi soggetti tutelati e finiscono per discriminarli. Colpendo loro, ma alla fine immiserendo tutti noi.È il caso della legge sulla cittadinanza per gli stranieri che – oltre a non prevedere percorsi di sensata acquisizione per chi nasce e vive in Italia o per coloro che, comunque, svolgono da noi l’obbligo scolastico, come da più parti si chiede e sarebbe auspicabile – non permette di diventare italiani alle persone con disabilità mentale. Non lo permette comunque. Di qualsiasi entità sia tale disabilità.A sollevare la questione – ne abbiamo scritto giovedì 24 gennaio – sono state alcune associazioni di persone con sindrome di Down, che hanno reso pubblici i casi di due ragazzi, appena divenuti maggiorenni, nati in Italia da madre albanese l’uno, colombiana l’altro. Entrambe le donne si sono sentite dire dall’ufficiale dell’anagrafe che la domanda di cittadinanza sarà respinta perché i loro figli, nati con un cromosoma in più, sono "classificati" quali disabili mentali e per ciò stesso considerati non pienamente in grado di intendere e volere. Dunque impossibilitati a pronunciare quel giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e delle nostre leggi, necessario appunto per ottenere la cittadinanza. Fonti del Viminale spiegano che i casi emersi sono addirittura «alcune decine» e che finora il parere dell’Avvocatura dello Stato è rimasto univoco: la "capacità" mentale è da considerarsi una <+corsivo>conditio iuris <+tondo>invalicabile per come è fissata nella legge 91 del 1992.In punto di diritto, gli esperti potrebbero disquisire sulla congruenza o meno della norma italiana con la Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia nel 2009. Così come, sul piano pratico, si potrebbe rivelare la plateale incongruenza di uno Stato che, da un lato considera i ragazzi con sindrome di Down disabili mentali "incapaci", ma dall’altro li accoglie nella scuola pubblica, li forma e consegna loro un diploma scolastico valido (il ragazzo di origine colombiana, ad esempio, ha completato le medie inferiori e frequenta il secondo anno delle superiori). E, d’altro canto, si possono considerare "incapaci" quelle decine ormai di persone con sindrome di Down che arrivano a laurearsi e quelle centinaia, forse migliaia che – grazie a buone leggi e buona volontà degli uomini – lavorano regolarmente con profitto loro e delle aziende presso cui operano?Il ministro Anna Maria Cancellieri, spiegano sempre dal Viminale, si sta già occupando della questione, «anche attraverso un approfondimento delle singole situazioni». Ed è possibile che si trovi una via d’uscita dall’impasse, verificando di volta in volta l’effettiva "capacità" mentale delle singole persone. Oppure ricorrendo all’intervento degli amministratori di sostegno. Soluzioni possibili, positive e di buon senso. Ma non sufficienti, crediamo, di fronte a una palese ingiustizia, per sanare la quale occorre al più presto cambiare la legge.Il diritto alla cittadinanza, infatti, non può essere subordinato allo stato di salute, mentale o fisica che sia, a una disabilità, grave o gravissima che sia. Originaria o sopravvenuta. Sarebbe come aggiungere stigma a stigma, come considerare, ancora, il malato figlio di un diritto minore. Qualcosa che, a poche ore dal Giorno della memoria nel quale si ricorda anche lo sterminio di centinaia di migliaia di disabili, fa ribellare la nostra coscienza. Qualcosa che dovrebbe interpellare, senza demagogie, tante coscienze di cittadini e candidati ora che ci apprestiamo a eleggere il nuovo Parlamento, cioè la "fabbrica" delle nostre leggi.Concedere la cittadinanza a un disabile oggi "straniero" anche se nato e cresciuto in Italia – come avviene per chi, "sano", si trova nelle stesse condizioni – significherebbe invece dare cittadinanza alla questione sociale di chi è malato o diversamente abile e non per questo ha dignità minore o può essere titolare di minori diritti. Non per questo gli si può negare di essere nostro concittadino. Anche da qui, per un Paese davvero civile, passa una frontiera dell’umano che non possiamo, non dobbiamo più ignorare.
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