martedì 31 luglio 2012
​Alberto Caprotti
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Si scrive queue, si pronuncia «chiù». Ma soprattutto, si fa. Più preziosa di una medaglia, più rispettata anche della regina madre. La coda a Londra è ovunque. È una questione innatamente sociale, quasi metafisica. Una droga di cui non riescono a fare a meno. «Un inglese – ha scritto George Mikes in uno straordinario aforisma – anche se è da solo forma una normale coda da una persona».In Italia non sappiamo cosa significhi. Non esiste, chi la rispetta è un fesso, chi la salta se ne vanta. Chi ha le conoscenze giuste per evitare due volte la colonna infame, conta più di chi ha due lauree. Alle Olimpiadi inglesi invece, davanti agli stadi, o in attesa del bus, la fanno tutti. In rigoroso e nemmeno troppo rassegnato silenzio. Gli inglesi in coda non parlano: forse perché rischiano di distrarsi e di passare inavvertitamente davanti a qualcuno.Così gli altri, che inglesi non sono, si adeguano: solo per emulazione, o per una sorta di improvviso rigurgito di civiltà, abbiamo visto decine di turisti perfettamente allineati. Anche italiani (incredibile), forse scocciatissimi ma probabilmente terrorizzati dal timore delle conseguenze di essere individuati a sorpassare chi è in attesa davanti a loro. Non sanno – a noi l’hanno raccontato alla fine di una coda, non un secondo prima – che un londinese vero non protesta mai quando ciò accade. Al massimo sussurra un rimprovero aspro: non per accusare il reo ed evitare il sopruso, ma per ricordare a se stesso di non fare mai un errore del genere.La colpa – o il merito, a seconda dei punti di vista – dicono che sia addirittura di Churchill. Nel giugno del 1940, in previsione dell’invasione tedesca, ordinando l’evacuazione delle truppe britanniche da Dunquerque, pare che fece scrivere manifesti che raccomandavano ai soldati di «stare calmi e tirare avanti». Tradotto volgarmente: state zitti e in coda. Ora, ovunque vi troviate, sul marciapiede del metrò, o in attesa di entrare in un ristorante, la scritta è una sola: Please, mind the queue. Non «mettetevi in coda», ma «fate attenzione alla coda». Un invito elegante, democratico. Con quel «per favore» che lo rende garbatamente irresistibile. Basta poco, a volte, per imporre una regola.
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