venerdì 12 luglio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
A cosa serva il registro per i testamenti biologici varato ieri dal Consiglio comunale di Milano è presto detto: a niente. L’hanno ammesso anche alcuni consiglieri di maggioranza che, giustamente preoccupati per i profili etici del provvedimento, hanno accettato di votarlo solo perché irrilevante. L’hanno chiamata "versione light", per dire che rispetto ad altre città dov’è stato adottato (sempre a colpi di maggioranza, spaccando le istituzioni locali su un tema nevralgico, impegnando i consigli in maratone estenuanti quando tra la gente ben altre sono le attese) si è lasciato al Comune un ruolo accessorio assegnando a notai, medici, associazioni o fiduciari la custodia delle volontà di fine vita. Col valore giuridico che si può immaginare: i Comuni non hanno né possono ovviamente avere alcun potere sulla vita umana, che è materia riservata alla Costituzione e alle leggi nazionali. E che una legge sia stata recentemente affondata in Parlamento dalle stesse forze politiche che ora la reclamano a gran voce aggiunge una nota grottesca a una vicenda comunque incomprensibile. Se un provvedimento è inutile, perché un Consiglio comunale deve perderci tanto tempo (e un po’ di soldi)? E perché evocare il bio-testamento comunale come esempio di "nuovo diritto"? I milanesi – e non solo loro – potrebbero spiegare vividamente al sindaco e alla sua maggioranza quali sono i veri "nuovi diritti" dei quali hanno urgente bisogno: ad esempio, un impegno serio, esplicito e concorde per non lasciare mai solo chi arriva all’ultimo capitolo della sua vita. Ma questo diritto, si sa, è molto meno alla moda.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: