martedì 30 ottobre 2012
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C’è un vuoto che continua a crescere nel panorama politico italiano. Un vuoto denso e minaccioso. Che politici responsabili dovrebbero considerare assillante. E capire. Il vuoto, stavolta, dopo aver cominciato a vederlo soprattutto da Nord, ci ritroviamo a scrutarlo drammaticamente bene da Sud. In Sicilia meno della metà dei chiamati alle urne ha votato e deciso l’esito della disfida per il governo della seconda più importante Regione italiana, la più autonoma di tutte, la più emblematica delle promesse tradite dalla politica anche a livello locale. E allora, per favore, che a nessuno venga in mente di alzare le spalle e di fare i conti senza l’oste del non-voto, senza quest’oste grande, grosso e adirato.I numeri, infatti, scolpiscono nel marmo il dato di una premeditata e urlante diserzione dalle urne, frutto di amara disillusione, di rombante sfiducia e di tutta la vana fatica di chi cerca e non trova case politiche a cui guardare e politici ai quali rivolgersi per immedesimazione, stima e speranza. Neanche le "Cinque stelle" della lista che si rifà a Beppe Grillo – ormai evidente e corposo riferimento politico ufficiale dell’antipolitica (e, in qualche caso e persona, anche di un’«altra politica») – attirano nella propria orbita questa enorme massa di cittadini che "non c’è, ma c’è". Una maggioranza di non-votanti scomoda e niente affatto silenziosa. Una massa grave, che dovrebbe indurre un po’ tutti a ragionare, a rendersi conto che bisogna – mentalmente e politicamente – ridurre di almeno di un terzo (se non proprio della metà) il peso effettivo delle percentuali di cui si inorgogliscono o si dolgono vincitori e vinti.È inevitabile partire di qui nel valutare l’«uragano Sicilia» e le sue conseguenze. La scorsa primavera, dopo il turno amministrativo, il Pd di Pier Luigi Bersani affiancato da quelli della "foto di Vasto" (dipietristi e vendoliani) si scoprì «primo partito tra le macerie» del disfatto polo Pdl-Lega e di un mai davvero nato Terzo Polo. Oggi, in Sicilia, il candidato presidente del Pd e dell’Udc, Rosario Crocetta, arriva primo nel risonante vuoto che abbiamo appena descritto, e che s’è creato là dove il centrodestra era egemone. Ma il Pd si ritrova – che lo ammetta o meno – non primo bensì secondo partito, dietro i grillini isolani e in un panorama segnato, più ancora di sei mesi fa, dalle rovine. Quelle di una sinistra radicale e giustizialista (da Sel all’Idv) ridotta in frantumi. Quelle di un’area moderata fatta a pezzi da una serie di errori e orrori politici e amministrativi nonché da giochi e guerre di capitani di ventura.Voto dopo voto, si manifesta così la inadeguatezza rappresentativa e la forza elettorale decrescente delle formazioni politiche che hanno rissosamente egemonizzato la cosiddetta Seconda Repubblica. Non rendersene conto sarebbe pericoloso come guidare a fari spenti di notte. Ed è incredibile che qualcuno, per ipotesi, possa illudersi che nei prossimi difficili anni l’Italia possa essere efficacemente e pacificamente governata – in periferia e al centro – da coalizioni in grado di raccogliere un terzo dei consensi espressi dalla metà del corpo elettorale...Nessuno dei leader della "strana maggioranza" ABC – Alfano, Bersani e Casini – che ha sinora sostenuto il governo di Mario Monti dovrebbe arrischiarsi a pensare che all’orizzonte ci sia un tempo buono per "gioiose macchine da guerra" ed eterogenee minoranze di governo, per di più incalzate da vecchie e nuove leadership e spinte populistiche che puntano a farsi forti di un oggettivo disagio sociale ed economico e dei risentimenti contro questa o quell’ala (politica, imprenditoria, magistratura...) del Palazzo. Altrimenti, il rischio di un processo di "grecizzazione" della transizione italiana si rivelerebbe non solo teorico. E finirebbero per essere vanificati i grandi sacrifici di questi mesi, la lenta risalita dell’immagine di affidabilità dell’Italia e il suo contributo a disegnare un’Europa sempre rigorosa eppure assai più solidale.Infine, una sommessa e convinta speranza. Il bipolarismo italiano può virtuosamente riformarsi proprio in questo tempo complicato e di forzate collaborazioni. Purché i suoi due perni naturali – il campo moderato, il più diviso, e quello progressista – si riarticolino e si rinnovino per contenuti, metodi e facce. Ottima cosa le primarie, ma non solo di primarie c’è bisogno: anche di archiviazione (o di messa ai margini) dei personalismi e dei partiti personali. Come dice un antico adagio: chi ha più responsabilità la usi. E la usi bene. Almeno metà del Paese non ne può più del vecchio spettacolo della politica e non si fa incantare neanche all’ultima versione della politica spettacolo.
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