martedì 25 novembre 2014
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Ha rivinto il Partito democratico di Matteo Renzi. Come sei mesi fa, alle elezioni europee. È davvero impossibile negarlo, a chiunque, persino al più severo censore del premier. In Emilia Romagna, proprio come nel maggio scorso, bisogna mettere insieme i consensi del secondo (Lega Nord: 19,42%), terzo (M5S: 13,26%) e quarto partito (Fi: 8,36%) aggiungendo quelli dell’altra sinistra (Sel: 3,23%) per eguagliare il risultato del Pd (44,52%). Facile concludere che attorno alla formazione guidata da Renzi c’è più che mai un panorama politico disastrato e che la forza del presidente-segretario (o la sua minore fragilità) è ingigantita dalle debolezze altrui. Ma anche stavolta è inevitabile constatare che dal doppio test regionale d’autunno emiliano romagnolo e calabrese la forza incombente del partito del non-voto emerge con assoluta prepotenza. Continua a crescere e si conferma – come annotammo il 27 maggio su questa stessa prima pagina – il «vero primo partito d’Italia».È un segnale forte e minacciosamente ambiguo, che nessuno – nemmeno il capo del governo – può permettersi di sottovalutare. Ma ugualmente nessuno – nemmeno i più strenui oppositori interni ed esterni del leader del Pd – può pensare di intestarsi strumentalmente. L’immensa massa "all’americana" dei non votanti ci dice che una corrosiva miscela di impoverimento e di sfiducia, di rifiuto e di indignazione, di polemica e di tristezza sta consumando la vita di una parte importante del nostro popolo e il tempo a disposizione di chi ci rappresenta e ci governa per dimostrare a tutti i cittadini che l’Italia ha davvero cominciato a «cambiare verso». E questa, come si sa, è una promessa di Renzi, ma è anche e soprattutto – come ricorda, in modo incessante e sempre più amaro, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – un dovere di tutti coloro che siedono in Parlamento. Che ieri hanno raccolto i cocci delle pessime prove date negli anni e nei mesi che ci stanno alle spalle.Il fatto che si votasse per due Regioni non ha certo aiutato, visto e considerato che dopo la serie di scandali amministrativi e di «rimborsopoli» la stima dei cittadini per questi grandi Enti è al punto più basso. Ma l’analisi dei saldi in voti assoluti (dunque, non delle pure percentuali) delle principali forze politiche racconta con crudezza l’enorme sottrazione di consenso subita da vincitori e vinti nelle urne. Rispetto a sei mesi fa, Il Pd che pure primeggia, e fa man bassa di seggi, ha perduto un terzo dei voti in Calabria e più della metà in Emilia Romagna, mentre il Movimento 5 Stelle – fino alla primavera scorsa primo partito italiano – ha visto sparire i tre quarti dei consensi nella regione meridionale e i due terzi in quella più settentrionale. A Forza Italia è andata altrettanto male in Emilia Romagna (63% dei voti persi) e appena meglio in Calabria dove le sono mancati "solo" quattro voti su dieci. La Lega Nord, infine, ha incassato il risultato più mirabolante di tutti, raddoppiando i voti rispetto alle europee e diventando il secondo partito in Emilia Romagna, eppure – vale la pena di annotarlo – ha perso a sua volta un quinto dei suffragi rispetto alle regionali del 2010.In un mondo di sconfitti, i due Matteo (Renzi e Salvini) sono insomma gli unici a poter cantare vittoria. La Lega Nord è risorta a suon di slogan taglienti e di roventi toni nazional-lepenisti dalle ceneri maleodoranti degli scandali che avevano stroncato il monarca lumbard Bossi e accarezza l’idea di ritentare la carta dello sfondamento al Centrosud: non sarà facile. Il Pd si ritrova ancor più al centro del gioco politico, padrone e prigioniero di progetti di riforme che non può fallire, attorniato a destra e a sinistra da alleati e avversari che continuano a perdere peso o a non trovarne mai abbastanza per rappresentare una seria alternativa nell’immediato o un credibile polo di aggregazione per il futuro.

Un problema bello grosso anche per quella parte della minoranza interna anti-renziana che dispone ancora di una notevole forza parlamentare ed è data, da mesi, sul piede di partenza per nuovi lidi partitici, ma che si ritrova sistematicamente senza destinazioni verso le quali dirigere i propri passi e senza motivi per far precipitare la situazione.Un quadro così non può reggere a lungo, e non lo auguriamo di certo all’Italia e agli italiani. O meglio può reggere – senza esasperare il distacco tra cittadini e palazzi della politica e danneggiare irreparabilmente il tessuto prezioso della nostra democrazia – solo se serve ad avviare, riforma dopo riforma, con tenace pazienza e serio ascolto del Paese, un "rinascimento". Per questo il Pd di Matteo Renzi – che quel "rinascimento" ha detto di volere – vince anche nei giorni della sconfitta della politica. Ancora per un po’. Badi al sodo, il premier, e non si faccia illusioni.

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