mercoledì 29 luglio 2015
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Caro direttore,  per le famiglie i cui figli frequentano le scuole paritarie la recente sentenza della Corte di Cassazione sulla vecchia Ici è soprattutto l’ennesima beffa. I genitori che fanno questa scelta si trovano già in una condizione di estremo svantaggio, nel rivendicare il proprio diritto alla libertà di scelta educativa. Per poter scegliere la scuola devono pagare una retta, spesso molto elevata, e sanno che il sostegno pubblico alla scuola dei propri figli è minimo, rispetto a quanto loro spendono: meno di 500 euro di soldi statali pro capite per alunno nella scuola paritaria, cui si aggiunge una retta media pagata dalle famiglie tra i 2.000 e i 3.000 euro; ben poco, a fronte di un costo pro capite di 6.800 euro di un alunno nella scuola statale.  Sono genitori che preferiscono investire i propri risparmi nella scuola dei propri figli, anziché spenderli in maggiori consumi, o in stili di vita più ricchi. Investono cioè i propri redditi sul capitale umano del Paese, investono il proprio reddito per costruire il futuro di tutti. Ma possono detrarre questi costi in misura minima, mentre altri consumi sono protetti molto meglio dal nostro fisco (anche le spese del veterinario). E spesso questo investimento sul futuro dei propri figli assorbe qualsiasi possibilità di risparmio futuro. Un vero gesto di gratuità, a favore dei propri figli e a favore del futuro del Paese.  Questi genitori hanno preso sul serio il dettato dell’art. 30 della Costituzione, «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli», che trova piena eco nell’art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che sempre nel 1948 riaffermava con forza che «i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli». Adesso questi genitori si sentono dire che le loro rette non sono una scelta educativa, non sono una modalità con cui essi ottemperano al diritto-dovere dell’art. 30 della nostra Costituzione, ma sono un semplice «acquisto di prestazioni a scopo di lucro». Perché se le scuole paritarie chiedono una retta, e con questa retta devono far quadrare un bilancio, allora sarebbero enti commerciali  tout court.  E quindi anche le imposte sugli immobili devono essere sempre applicate.  Ben strano, questo bene di consumo delle famiglie: la scuola dei propri figli – anche quella dell’obbligo!  Eppure questi genitori hanno iscritto i propri figli a scuole paritarie, cioè scuole inserite a pieno titolo nel «sistema integrato dell’istruzione pubblica»; scuole che sono a tutti gli effetti capaci di rilasciare titoli di studio pubblici, validi in ogni concorso, esattamente uguali a quelli rilasciati dalle scuole a gestione statale. Questi genitori si aspettano pari dignità, nel trattamento dei loro figli. Non si aspettano certo di essere trattati come “figli di un Dio minore”.  Non intendo qui entrare nel merito degli aspetti tecnici dell’intervento della Cassazione; resto però amareggiato nel constatare che una scelta di libertà, nel nostro Paese, deve essere pagata direttamente dalle famiglie, e non viene considerata un diritto da garantire. Mi stupisce poi vedere che in quasi tutto il resto d’Europa la libertà di scelta della famiglia fa parte di una cultura condivisa, in cui il bene pubblico dell’educazione delle nuove generazioni può essere tranquillamente garantito da scuole statali, comunali, paritarie e non profit, liberamente scelte dalle famiglie, senza doversi pagare la libertà di scegliere.  Nel nostro Paese invece resiste una ormai inutile ideologia statalista, che vede solo la scuola statale garantire l’educazione per tutti. Eppure nelle scuole paritarie ci sono modelli innovativi di scuola per contrastare l’abbandono e la dispersione scolastica, ci sono i percorsi professionalizzanti più affascinanti per tanti ragazzi che magari non sanno studiare il latino, e che fanno fatica con il congiuntivo, ma che hanno il genio e l’intelligenza delle mani, dell’artigianato. Senza le scuole paritarie per l’infanzia, poi, troppi sarebbero i bambini senza opportunità educative in età prescolare. E le tante eccellenze di tanti istituti paritari possono confrontarsi sul territorio, in una virtuosa competizione di modelli educativi, con le tante eccellenze di istituti a gestione statale, a favore dello sviluppo di scuole sempre migliori.  La sentenza della Cassazione, che non sta a me giudicar in punto di diritto, rimane un grave punto di contraddizione per il nostro sistema scolastico, e pare figlia di una ormai obsoleta visione ideologica statocentrica, che non fa il bene della scuola tutta. Ora tocca alla politica, al Governo, e soprattutto a chi fa scuola, trovare un nuovo modello regolativo, che restituisca ai genitori quella libertà di scelta e quel primato educativo, sancito dalla Carta costituzionale, che protegge la democrazia e promuove la libertà delle persone.  In fondo fu proprio per questo che la Chiesa, nel 1931, si trovò a scontrarsi duramente con il regime fascista, che attaccò duramente l’Azione Cattolica per la sua azione educativa, di cui la dittatura fascista voleva il monopolio. Venne persino pubblicata un’enciclica sul tema, Non abbiamo bisogno: non per difendere le scuole cattoliche, ma per difendere la titolarità educativa delle famiglie contro l’invasione dello Stato etico totalitario. Una scuola più libera fa più libera la società. Per questo non possiamo tacere. *Presidente del Forum delle associazioni familiari
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