martedì 7 maggio 2013
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Giulio Andreotti ha lasciato ieri mattina la sua famiglia, gli amici, i conoscenti, la nazione, il mondo. Una scomparsa che non lascia indifferenti né chi è stato sostenitore, né coloro che in vario modo lo hanno combattuto. Nei prossimi giorni assisteremo alle dichiarazioni le più differenti da parte di uomini di potere o di chi lo ha soltanto incontrato. Ma la profonda verità di un’anima è conosciuta solo da Dio mentre per noi semplici umani non sarà facile trovare la via giusta per un giudizio di equilibrio e di lealtà. Questo diventare ancora una volta occasione di esame quando non si può più rispondere, è la cosa cui l’uomo pubblico sa in anticipo di dover sottostare. Per tanti anni la nostra famiglia ha dovuto leggere sui quotidiani prima, su libri poi, giudizi e interpretazioni differenti sulla vita politica di nostro padre: ogni cosa è stata esaminata e descritta secondo le intenzioni o la sensibilità degli interpreti. Non è stata sempre cosa facile per me da ascoltare, anche se la figura di De Gasperi ne risultò alla fine illuminata di verità e di grandezza. Mi viene chiesta oggi una testimonianza su Giulio Andreotti anche se la mia è personalmente limitata ai primi anni della Repubblica. Mio padre, eletto presidente del Consiglio, aveva chiesto alle associazioni cattoliche i nominativi di giovani preparati che volessero lavorare al suo fianco. Tra gli altri gli venne suggerito il nome di Andreotti, giovane che egli aveva avuto già l’occasione di incontrare, anni prima, quando era segretario della Biblioteca vaticana. Giulio Andreotti si era presentato allora chiedendo di poter consultare le carte per una ricerca universitaria sulla marina pontificia. Nel volume «De Gasperi visto da vicino» l’autore ricorda così questo incontro: «Mi presentai ad un austero impiegato e mi sentii chiedere se non avessi studi più seri e più utili cui dedicarmi». Pochissimi erano i laureati degli anni 1944-46 preparati alla vita politica, essendo vissuti nel tempo della dittatura. Dal 1948 al 1953 mio padre ebbe come sottosegretario alla presidenza Andreotti che incontravo spesso quando uscivo dal mio studio, che era accanto a quello di mio padre. Ricordo che egli ne stimava la precisione e la serietà degli impegni, ma erano tanti gli anni che dividevano una vita dall’altra: il primo era nato nel 1881 e il secondo nel 1919. L’impero austro-ungarico con le sue leggi severe aveva temprato l’animo dei giovani educandoli alla serietà della vita, la prima guerra mondiale e poi gli anni della dittatura e della sofferenza avevano arricchito in loro il desiderio e la speranza della libertà. Chi invece aveva potuto evitare di partecipare alla nostra devastante seconda guerra, aveva tutto da imparare davanti a sé in quanto riguardasse la vita libera di un popolo. Mi fu richiesto più volte, all’inizio, di partecipare come deputato alla vita politica. Non ho scelto che la mia famiglia e così ho conosciuto i trionfi e le avversità che hanno riguardato la vita del senatore Andreotti, come tutti dai media, ma comprendendo il silenzio e le pene che una compagna e dei figli possano avere, in certi momenti, sofferto. Oggi uniamo le nostre mani in una preghiera.
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