martedì 1 marzo 2016
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Benvenuto a quel bambino appena nato in una clinica californiana. Benvenuto a Tobia Antonio, figlio biologico del compagno di Nichi Vendola, leader di Sel, nato da maternità surrogata. Ogni figlio che viene al mondo è stato pensato e amato da Dio, e il suo nascere è una gioia. Certi come siamo di questo, sull’operazione fatta per dare un figlio a una coppia gay abbiamo qualcosa da dire – a rischio di essere assimilati a quei politici che già Vendola ha definito "squadristi" per le loro critiche (ma in compagnia anche di illustri voci della sua stessa parte politica). «Uso provocatoriamente questo mio sogno contro la pigrizia della politica sul tema dei diritti civili», ha dichiarato Vendola recentemente. Una scelta anche politica dunque. Possiamo immaginare che, dal momento che la bocciatura in Parlamento della stepchild adoption rende oggi complicato e forse impossibile al leader Sel il riconoscimento di Tobia in Italia, il bambino finirà al centro di una battaglia giudiziaria, in quella moltiplicazione di sentenze che, di fatto, da tempo riscrivono il diritto in questo Paese. Sarà usato per dimostrare che nella maternità surrogata non c’è nulla di male, così come non c’è nulla di male nel "fabbricare" un figlio a una coppia omosessuale. Invece, secondo noi, nell"utero in affitto", del male c’è. Una coppia, eterosessuale o gay, mette a disposizione il seme per avviare una gravidanza in una donna "portatrice". La donna può essere madre biologica del bambino, o invece l’ovulo può appartenere ancora a un’altra donna, come sembra nel caso in questione. La gestante comunque porta per nove mesi un figlio, da cui subito si separerà. La grande maggioranza delle maternità surrogate avviene grazie a donne povere o di Paesi poveri, che per qualche migliaia di euro vendono un figlio. Nel Nord del mondo le migliaia diventano decine di migliaia. Ma la realtà non cambia. Si tratta, con evidenza, di un intollerabile mercato, una compravendita di ciò che non si può vendere, né comprare. Contro questa pratica da qualche tempo si alzano voci diverse, cattoliche e no. Anche autorevoli voci del femminismo e della politica. In Francia, poche settimane fa, si è proposto di bandire in Europa, anzi a partire dall’Europa, la maternità surrogata. Ma, attenzione. Vendola e il suo compagno non sono andati in Cambogia o nei Paesi dell’Est. Sono andati in California, dove la legge ammette la maternità surrogata e, con costi medici di almeno 130mila euro, delle cliniche mettono in contatto donne e aspiranti genitori. Tutto è regolamentato, e rigorosi contratti prevedono ogni eventualità. (Di norma le donne che non sono disposte ad abortire in caso di complicazioni vengono escluse dalla candidatura). Il leader di Sel ha dichiarato che ciò che ha fatto non ha nulla a che vedere con l’utero in affitto: si tratta, invece, di 'gestazione per altri'. «La donna che ha portato in grembo il bambino e la sua famiglia sono parte della nostra vita», ha detto ancora. Cioè, pare di capire, si tratterebbe di un 'dono' altruistico e non ricompensato. Ammettiamo che sia così. Ma davvero utero in affitto e 'gestazione per altri' sono due cose radicalmente diverse? La sola cosa diversa è il bisogno economico della madre. Quanto al resto, un’operazione come questa californiana rivela comunque l’uso di una donna come semplice fattrice. La donna, in questa logica, è l’incubatrice che nutre e contiene il figlio, ma non sarà mai sua madre. È biologicamente accertato il legame forte e muto che si crea fra madre e bambino, in gravidanza, per cui madre e figlio si è già, vicendevolmente, prima del parto. Questo straordinario rapporto è volutamente cancellato, nella maternità surrogata. La gravidanza è la semplice fornitura di un servizio – con tanto di norme e codicilli per iscritto, a garantire la controparte se il 'servizio' non risponde allo standard ottimale. Anche ammesso che la 'gestazione per altri' sia cosa gratuita davvero, che cos’è se non una reificazione della donna, un renderla solo macchina, cosa? Meraviglia, che un uomo che viene da una cultura di sinistra non avverta il sapore di questa sopraffazione. Tobia Antonio è nato in una bella clinica, dalla parte giusta del mondo, e sarà un bambino curato e amato. Ma una cosa gli mancherà, inconsciamente: quel battito, quel corpo, quel legame radicale e segreto da cui viene. Avrà due padri, e non una madre. Arcaico, reazionario dirlo? Due padri non sono una madre. Tanti bambini crescono orfani di madre, è vero. Ma non in un disegno preordinato, in un volontario piegare alle individuali inclinazioni il dato di natura. Quel dato di natura contro al quale, disse profeticamente la filosofa Hannah Arendt, la modernità cova un’oscura avversione.
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