mercoledì 29 giugno 2016
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Il percorso stretto e lungo per una Brexit «serena» Caro direttore, il Consiglio europeo di ieri e oggi è chiamato a dare risposte chiare alla Brexit e certezza agli Europei, oltre che ai mercati. L’impatto della decisione del popolo britannico di uscire dall’Unione europea è difficile da valutare. Inutile fare previsioni ora. Certo l’Unione europea è destinata a perdere una parte della sua identità, a mutare la sua natura. Il Regno Unito è costitutivo dell’Unione e non solo dell’Europa. Senza di esso sarà inevitabilmente un’Unione diversa. Il Mercato unico, i servizi finanziari, la politica commerciale, la politica di concorrenza, la politica estera europea (quel poco che c`è) e la stessa suddivisione dei poteri tra centro e periferia informata al principio di sussidiarietà parlano molto inglese, che tra l’altro è lingua veicolare e di lavoro dell’Unione. Ma anche il Regno Unito rimarrà molto europeo: di certo non potrà cancellare di punto in bianco un corpus normativo formato, in gran parte, di disposizioni che trovano il loro fondamento nel diritto dell’Unione. Sta di fatto che ora il popolo britannico si è pronunciato per il leave. E la sovranità popolare, volenti o nolenti, deve essere rispettata. Detto questo il referendum, di natura consultiva, è ancora un atto puramente interno all’ordinamento britannico. 
 
 
Seppur politicamente ed economicamente dirompente, non ha alcuna rilevanza giuridica per i Trattati europei. Come prevede l’art. 50 del Trattato dell’Unione la decisione di recedere da parte di uno Stato membro avviene secondo le sue proprie norme costituzionali. La disposizione è chiara: significa che non è l’Unione a decretare come uno Stato debba decidere di recedere ma sono le regole costituzionali di chi vuole andarsene. E le regole britanniche prevedono che sia il Parlamento a pronunciarsi. Il referendum è consultivo. Dobbiamo dunque lasciare al Parlamento britannico di valutare come vuole farsi carico del risultato referendario. Certo il principio di leale collaborazione che informa il rapporto tra l’Unione e gli Stati membri impone che non si tergiversi né si faccia ostruzionismo. Spetta al Regno Unito fare la prima mossa formale, dimostrando sin dall’inizio di prendere sul serio la leale collaborazione.
 
 
Peraltro non ci può essere una pressione indebita alla notifica né una dannata fretta a concludere tutto come qualcuno sembra a torto volere. Il Trattato non permette scorciatoie. Due anni possono durare i negoziati, due anni dalla notifica. Occorre dunque la pazienza di percorrere il sentiero stretto e lungo dei negoziati; un terreno in parte inesplorato ma in parte no. Infatti, si tratta in pratica di un processo di adesione al contrario. Le stesse modalità dovranno essere applicate, mutatis mutandis, al recesso.
 
 
Dopo aver ricevuto un mandato politico, materia per materia (capitolo per capitolo) funzionari europei e britannici dovranno sedersi attorno ad un tavolo e trovare complicati accordi tecnici da sottoporre all’approvazione delle istituzioni competenti. È in questo processo negoziale, complesso ma inevitabile, che l’Unione dovrà difendere i suoi interessi, nel confronto serrato che avverrà giorno per giorno. Equilibrio, rigore, determinazione, pazienza, profonda conoscenza dei dossier sono le doti che servono in questi momenti. Gli stretti legami che ci uniscono al Regno Unito non possono essere spezzati d’un colpo. Anzi dovranno essere in giusta parte preservati. In caso contrario le conseguenze sarebbero dannose per tutti: i nostri concittadini che risiedono nel Regno unito, le tante imprese italiane che vi producono ed esportano, le tante attività finanziarie che vedono protagonisti operatori italiani. Tutti loro hanno bisogno di certezze, non di colpi di testa. Certezza che per ora nulla cambia e quando cambierà i loro interessi saranno stati adeguatamente tutelati. 
 
 
Altrimenti si alimentano leggende metropolitane come quelle per cui non potremo più esportare in UK prosecco e grana oltre che i calciatori. Ma se lo possiamo fare negli Stati Uniti perché non potremo più farlo nel Regno Unito? Alla fine del processo negoziale varranno quantomeno le regole dell’Organizzazione mondiale del Commercio (con altri modelli di più stretta collaborazione pure possibili), al di là del fatto che l’attuale integrazione commerciale non cesserà comunque d’un colpo. D’altronde sarebbe un male per tutti. Anche i britannici lo sanno bene e Boris Johnson indica un modello tipo 'Spazio economico europeo' rivisto, come quello da lui preferito. 
 
 
Se nell’immediato serve dare garanzie ai mercati finanziari e agli operatori economici con misure adeguate, solo una leadership europea risoluta nella difesa degli interessi dell’Unione ma equilibrata e non punitiva nei rapporti col Regno Unito potrà stabilizzare una situazione ora gravemente perturbata. Risolutezza ed equilibrio dobbiamo pretendere innanzitutto da questo Consiglio europeo. 
 
*Già Capo di Gabinetto del Vicepresidente della Commissione europea e Consigliere per gli affari giuridici e legislativi del Presidente del Parlamento europeo
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