giovedì 7 gennaio 2016
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Se non ci fermiamo alla vignetta di copertina del settimanale "Charlie Hebdo" nel primo anniversario dell’attacco terroristico alla sua redazione di Parigi, priva di vivacità intellettuale e graffio umoristico (ha già attirato su di sé le critiche puntuali e severe che si merita, a partire dai cittadini francesi di ogni fede), e voltiamo pagina, all’interno della rivista di punta del laicismo assoluto d’Oltralpe troviamo – nell’editoriale di Laurent Sourisseau ("Riss"), uno dei sopravvissuti all’assalto armato – un’espressione lucida e incisiva: «È l’eternità che ci è piombata addosso quel mercoledì 7 gennaio» dello scorso anno.Quando un uomo ha la morte davanti agli occhi, il pensiero che gli sovviene non è il tempo che gli resta, ma l’eternità per cui è fatto e che il cuore di ognuno di noi domanda a ogni battito. Come hanno inciso nelle parole di una canzone due giovani liceali milanesi, Adriana Mascagni e Maretta Campi, negli anni in cui il vento del "Maggio francese" (cui "Charlie Hebdo" è storicamente legata) iniziava a soffiare anche nel nostro Paese: «Tutta la vita chiede l’eternità». Proprio come Riss scrive, l’uomo in cui è vivo il senso religioso porta la consapevolezza che «dietro di sé e davanti a sé ha l’eternità». Non solo per il credente di ogni fede, ma in ciascun uomo – l’umano e il religioso (comunque inteso e declinato) coincidono nell’esperienza originaria, elementare di ognuno di noi – l’eternità ci precede e ci anticipa, ci avvolge in ogni istante e dà alla nostra vita un senso (secondo l’etimo, una direzione e un significato), strappandola all’effimero, al contingente che ci consuma.L’editorialista di "Charlie Hebdo" fallisce però l’analisi quando lega il senso dell’eternità alla vendetta senza limiti temporali per l’affronto subito, all’odio che il fanatismo di alcuni uomini religiosi tende a perpetuare e di cui i redattori della rivista sono stati vittime. Al contrario, è quando i credenti smarriscono l’orizzonte dell’eternità in cui Dio dispiega la giustizia piena, premia i buoni e punisce i colpevoli che non si pentono e ricorrono alla sua misericordia, che si fa strada l’insana e violenta idea di "farsi giustizia da sé" o di "rendere giustizia a Dio" colpendo chi lo ha offeso. Nella tradizione evangelica, Gesù chiede al discepolo pronto a difenderlo di rimettere la spada nel fodero (cf. Mt 26, 52) e invita a non estirpare la zizzania seminata dal nemico nel campo di grano prima del raccolto, alla fine dei tempi (cf. Mt 13, 28-30). E nei libri sacri di altre religioni si possono trovare indicazioni simili. Per abbattere la violenza, l’odio e la vendetta tra gli uomini e i popoli non serve cancellare l’eternità come prospettiva ultima, definitiva della vita e della storia, non giova mettere alla berlina il senso religioso dell’uomo nel patetico tentativo di estirparlo dal suo cuore (ma di esso è costitutivamente fatto il cuore!) e di esiliarlo dalla società. L’uomo ha bisogno di più eternità per amare di più, per rispettare e accogliere anche chi non la pensa come lui, anche chi gli è ostile per etnia, storia, cultura o fede. Per voler bene anche ai particolari della vita individuale e sociale, a ciò che oggi c’è e domani uscirà di scena, anche una vignetta satirica o le pagine di una rivista. Come lucidamente annotava lo scrittore vallese Charles Ferdinand Ramuz, «si può amare quello che non dura solo in nome di ciò che è eterno».La "imitazione" burlesca e irriverente di Dio, la sua parodia, ne lascia paradossalmente trasparire l’ineludibile bisogno che caparbiamente il laicismo vuole negare.

 

«Ciò di cui il nostro tempo ha bisogno – nel senso più profondo – si può esaurientemente dire con una sola parola, ha bisogno di eternità. La disgrazia del nostro tempo è che non è diventato altro che "tempo", temporalità, che, impaziente, non vorrebbe sentir parlare di eternità. […] Vorrebbe rendere del tutto superfluo l’eterno con un’artificiosa imitazione; il che però non gli riuscirà, in tutta l’eternità, perché quanto più si crede di poter fare a meno dell’eterno, quanto più ci si irrigidisce nel pensare che si può fare a meno di lui, tanto più, in fondo, si ha bisogno di lui» (S. Kierkegaard, Scritti su se stesso). Come ci ricordava Benedetto XVI (2011), l’uomo autenticamente laico «ha bisogno di eternità e ogni altra speranza per lui è troppo breve, troppo limitata».Il compito di noi cristiani – lo ha ricordato ieri papa Francesco nella celebrazione dell’Epifania – è quello «di riconoscere e far emergere in modo più chiaro il desiderio di Dio che ognuno porta in sé».

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