sabato 18 luglio 2015
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Era il 'nuovo' che veniva alla ribalta, dopo ben due governatori di cui uno – Salvatore Cuffaro – condannato in via definitiva per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, l’altro – Raffaele Lombardo – condannato, ancora solo in primo grado, per concorso esterno in associazione mafiosa. Lui, Rosario Crocetta, si presentava invece con le credenziali di efficiente e stimato sindaco di Gela, un grosso centro urbano, emblematico di tutti i problemi e le contraddizioni della Sicilia, e con la nomea di irriducibile difensore della legalità contro la criminalità organizzata. E tuttavia il suo successo, alle elezioni regionali, nell’ottobre del 2012, svoltesi anticipatamente per le dimissioni di Lombardo, non fu certo un trionfo. Ebbe poco più del 30% dei voti, ma questo non sarebbe stato di per sé grave, se non fosse che a votare erano andati meno della metà degli elettori – il 47,42% – , segnando il più grave fenomeno di astensionismo mai registratosi nell’Isola.La presidenza Crocetta è stato il prodotto di un vuoto di partecipazione, che a sua volta era effetto di una crisi di credibilità e di speranza. La sua gestione del potere ha portato fin dall’inizio il marchio di questo vuoto e lo ha coerentemente mantenuto in questi anni, fino ad oggi. Mancanza di idee, di progetti, di efficienza. Mai si è avuta l’impressione di una linea di governo, giusta o sbagliata che fosse, indirizzata al conseguimento di mete precise. Scelte estemporanee, scopertamente demagogiche – come quella di fare assessori del suo primo governo Franco Battiato e Antonio Zichichi, per motivi diversi del tutto inadatti ai compiti amministrativi (e poi dopo poco tempo 'dimessi' dallo stesso Crocetta) – , giravolte stupefacenti, compromessi. Con la sola attenuante di una classe dirigente – quella siciliana – che da troppi decenni, ormai, sembra raccogliere il peggio del capitale umano dell’Isola. È il mistero doloroso di una regione con cinque milioni di abitanti, con tante risorse, tante potenzialità, e che non riesce a trovare un modo decente di esprimerle a livello politico e amministrativo. Corruzione, incompetenza, indegni giochi di potere dovunque. Con poche, meritevoli eccezioni, condannate a remare controcorrente a proprio rischio e pericolo, come Lucia Borsellino. Se vi fosse stato un silenzio di Crocetta dopo le presunte minacce alla Borsellino, sarebbe stato la cifra di una più radicale afasia – peggio, di una sostanziale complicità – del mondo politico siciliano davanti alla tracotanza della mafia e dei 'colletti bianchi' suoi complici.  I vescovi siciliani hanno denunciato a più riprese questo disastro. L’ultima volta, in un documento intitolato «Considerazioni sull’attuale congiuntura della nostra regione», del 19 febbraio 2014, proprio contestando al governo Crocetta «un deficit di programmazione e di prospettiva progettuale, frutto di una logica miope fatta di localismi e frammentazione, priva di ampio respiro e perciò incapace di innescare mutamenti strutturali e di generare autentico e duraturo sviluppo». Disgraziatamente non si trattava di una crisi eccezionale.  In un documento pubblicato il 9 ottobre 2012, alla vigilia delle ultime elezioni regionali (prima, dunque, che Crocetta diventasse governatore), «Amate la giustizia voi che governate sulla terra», la stessa Conferenza Episcopale aveva parlato di «una fase di allarmante decadimento culturale, politico, sociale ed economico della Sicilia». I veleni messi in circolo della presunta intercettazione tra Tutino e Crocetta segnalano, in ogni caso, una storia di decadimento che rischia davvero di portare la Sicilia fuori dall’area europea. Un decadimento di cui è sintomo la fuga di cervelli ormai inarrestabile che la depaupera ogni anno non più, come in passato, di braccia di lavoro, ma di un personale altamente qualificato, di studenti, di laureati, costretti ad emigrare.  Qualcosa bisogna fare. L’appello che viene da questa confusa vicenda, comunque essa si risolva, è chiaro e univoco, ed è innanzi tutto rivolto al popolo siciliano: il sonno degli elettori genera mostri, la Sicilia ha bisogno di un rilancio che può passare solo attraverso un nuovo protagonismo dei cittadini. La sua rinascita passa attraverso un’assunzione di responsabilità da cui nessuno può sentirsi esonerato.
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