mercoledì 9 marzo 2016
Il delitto di Roma e il ruolo dei genitori
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Lo confesso. Dal momento in cui ho appreso dell’omicidio di Luca Varani sono sotto choc. Uno choc cresciuto di pari passo alla rivelazione dei particolari di una morte dovuta a motivazioni farneticanti e a modalità di esecuzione a dir poco efferate. Sono sotto choc come uomo, ma soprattutto come padre. E la pena infinita che provo, oltre che nei confronti della giovane vittima, si indirizza anche verso i genitori coinvolti a diverso titolo nella vicenda. Penso con dolente affetto alla madre e al padre di Luca ai quali un figlio non solo è stato strappato in maniera atroce, ma che ogni giorno di più, dal momento della diffusione della notizia, devono confrontarsi con l’orrore del racconto della sua agonia. E penso con diversa, ma ugualmente intensa, compassione ai genitori dei due colpevoli, uno dei quali, il padre di Foffo, ha non so come abbia trovato la forza di comparire nella trasmissione televisiva 'Porta a Porta'. Da un momento all’altro essi hanno dovuto prendere coscienza – diciamolo senza mezzi termini – dell’oscuro abisso che albergava nei cuori dei loro rampolli. Mi rendo conto, però, che di fronte a un episodio così abnorme anche le normali categorie di analisi – choc, dolore, sconcerto, condanna – non bastano più. Di fronte all’irruzione di un male totalmente irrazionale come quello messo in luce da questo omicidio serve infatti uno scatto in avanti, la formulazione di un rinnovato alfabeto dell’umano e della comune umanità, che mi sembra vada ricercato a partire dall’immedesimarsi, più che dal giudicare. «E se succedesse a me?». Se cioè un giorno, Dio non voglia, accadesse alla mia famiglia, di dover fare i conti con la perversione di un figlio, con la sua discesa nel girone infernale che questa tragedia ha posto sotto i nostri occhi? Sì, poniamocela questa domanda, non nascondiamola sotto il 'tappeto' di un perbenismo che si alimenta della illusoria certezza che tanto queste cose possono capitare solo agli altri. Perché un giorno, come è successo, ai genitori di Foffo e Prato, si può essere amaramente svegliati dalla sorpresa che gli altri siamo noi. Quella domanda può, dunque, essere un salutare filo d’Arianna al quale aggrapparsi per uscire non solo dal labirinto di una violenza insensata, ma anche e soprattutto dal tunnel di una cultura che esalta solo l’individuo, il suo piacere, i suoi bisogni e i suoi istinti più bassi e progressivamente ci trasforma in isole. Prima ancora di puntare il dito contro la droga e l’alcol, cause certamente scatenanti nel caso di specie, prima di esprimere l’inevitabile esecrazione per l’atto in sé, chiediamoci davvero: «E se succedesse a me?». Cioè: come svolgo il mio ruolo di genitore, anche quando i figli sono più grandi e prendono la loro strada? Quale rapporto ho stabilito con essi fin da quando erano piccoli? Quanto sono stato presente o assente nella loro vita? A quali valori (o disvalori) li ho educati? Il 'mestiere' di padri e di madri non è mai stato facile, ma l’impressione è che oggi sia diventato ancora più difficile, proprio sull’onda delle spinte centrifughe e disgregatrici cui le famiglie sono sottoposte, di ritmi di vita sempre più veloci, di vuoti affettivi non sempre suppliti, come in passato, da altre figure di riferimento (i nonni ad esempio) e anche da un crescente giovanilismo della generazione di mezzo (i quaranta-cinquantenni) talvolta più interessata alla propria estetica che al rapporto educativo con i figli. È vero che i due giovani assassini erano sulla soglia della trentina (dunque un’età non più giovanissima), ma è anche vero che se un briciolo di bene può insegnarci questa storia, è che la genitorialità non è una professione a tempo determinato, dall’essere genitori non si può andare in pensione. Il rapporto con i figli va coltivato sempre, la guardia e il livello di custodia (fatta salva l’insopprimibile libertà di ognuno) non possono essere abbassati mai. Sarà anche banale e scontato ricordarlo, ma prevenire è meglio che curare. Specie quando la conseguenza delle nostre omissioni è un male incurabile come la morte.
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