sabato 7 novembre 2015
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Per Messina assetata da 15 giorni “arrivano i nostri”. Stato d’emergenza, Protezione civile, esercito. Un programma già visto in un Paese dove la normalità, l’ordinaria amministrazione, si trasforma molto spesso in straordinarietà, in straordinari interventi per supplire a un’ordinaria inefficienza e incapacità. Anche quando si tratta dell’accesso all’acqua potabile e sicura che, come scrive papa Francesco nella Laudato si’ «è diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani». Il Papa, ovviamente, pensa soprattutto ai Paesi assetati del Terzo Mondo, ed è quindi ancor più assurdo che tale diritto non sia garantito in un Paese occidentale e sviluppato, dove di acqua ce n’è comunque in abbondanza. Anche in Sicilia l’acqua c’è, come in tante regioni del Sud. L’acqua c’è ma poi non arriva ai rubinetti. Si perde in acquedotti colabrodo, in rivoli di gestioni raffazzonate o corrotte se non addirittura mafiose. Questo avviene nella “normalità”. E non riguarda la questione “acqua pubblica o privata”, ma efficienza o non efficienza. Quando poi su questa situazione frana, letteralmente, anche il territorio, la quotidiana acqua col contagocce diventa emergenza. Ma che la Sicilia frani, e in particolare l’area orientale e soprattutto il Messinese, non è purtroppo una novità. E non solo per gli eventi meteorologici estremi di questi ultimi mesi. Come dimenticare la terribile alluvione del primo ottobre del 2009, con 31 morti e 6 dispersi. Un territorio fragile, saccheggiato da un’edilizia assurda, non abusiva, ma autorizzata anche se ad altissimo rischio. C’è poco da stupirsi se, dunque, franano anche gli acquedotti. Ma scandalizza che a franare siano anche le istituzioni locali, più impegnate a rinfacciarsi ritardi e responsabilità che a rimboccarsi le maniche e “insieme” risolvere il problema, dell’acqua e del risanamento del territorio, definitivamente, non solo rincorrendo l’emergenza o appellandosi al governo.  Lo ripetiamo: non è questione di pubblico o privato, ma di efficiente gestione. Delle risorse acqua e territorio. Poi magari se il governo Renzi evitasse di ritirare fuori il “Ponte” sarebbe anche meglio. Meno opere faraoniche, più ordinaria ammini-strazione, soldi spesi bene e accuratamente controllati. Questa è la vera e necessaria grande opera italiana.
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