mercoledì 9 ottobre 2013
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All’ottavo giorno di shutdown, con 800 mila dei 4,1 milioni di lavoratori federali lasciati a casa, un decremento settimanale del Pil dello 0,2% e la prospettiva della bancarotta se entro il 17 ottobre non verrà innalzato il tetto del debito americano, un’armata silenziosa quanto invisibile marcia compatta dietro allo scontro politico fra la Casa Bianca e il Congresso attorno al bilancio federale. È la grande armata dei poveri d’America – Mister Poverty, per antonomasia – un Leviatano composto da 46,5 milioni di cittadini che il pregiudizio di fondo dei repubblicani (ma non soltanto del Grand Old Party) trasforma nel male oscuro dell’America. Perché il prezzo, la contropartita che la vasta e trasversale falange dei liberisti duri e puri e dei tardi epigoni di Malthus chiede a Obama per scongiurare l’imminente bancarotta è netto e senza equivoci: rinunciare al famoso e famigerato Obamacare (o almeno rimandarlo sine die), ovvero alla riforma sanitaria varata nel 2010 che si propone di offrire un’assicurazione sanitaria ai 48 milioni di americani che ne sono privi e prevede un costo iniziale di 1.100 miliardi di dollari nei primi dieci anni.Da qui lo shutdown (letteralmente: «serrata, chiusura») di un governo federale che non può più far fronte alle spese. Ma non è di questo che ci preme maggiormente parlare, bensì di quell’armata di poveri, 46,5 milioni, ricordiamolo, lo stesso numero degli abitanti della Spagna, in pratica uno Stato nello Stato. Le cifre che il Census Bureau (l’istituto di statistica americano) ha fornito recentemente sono più eloquenti di qualunque geremiade: tra il 2008 e il 2013 il numero di poveri in America è aumentato di 6,6 milioni di unità, passando dal 13,2% della popolazione al 15%, mentre il reddito medio delle famiglie ha perso il 4,9% e si profila una drastica riduzione del meccanismo di distribuzione dei <+corsivo>food stamps<+tondo>, i buoni pasto federali destinati ai poveri. A questo proposito va detto che il concetto di povertà nella società americana poggia su criteri molto diversi dai nostri: la soglia di povertà di un nucleo familiare di quattro persone secondo il Census Bureau si fissa sui 51.017 dollari annui (più o meno 38 mila euro), che da noi corrisponderebbe a un reddito assolutamente accettabile. Ma da quel reddito – più teorico che reale – noi dobbiamo scomputare un welfare assolutamente più esile e fragile di quello europeo e un ricorso all’indebitamento individuale molto più pronunciato del nostro. La povertà, quella vera, che aggredisce quei 46 milioni di americani e rosicchia senza pietà quella che un tempo si chiamava middle class, parla di redditi annui pro capite non superiori a 7 mila dollari, o se preferite a 11,80 euro al giorno: un lusso inimmaginabile per il Terzo mondo, un abisso di miseria nell’ancora opulenta società americana, dove anche al di sopra di quella fatidica soglia di povertà tre cittadini su quattro vivono esclusivamente del proprio salario e un terzo di essi non ha neanche un dollaro di risparmi, mentre il rapporto fra debito e reddito, che fino al 1990 era del 58%, ora è salito al 154%: come dire che la famiglia media americana rincorre senza speranza un debito che non è più in grado di estinguere avendo per giunta perduto anche quell’illusione di benessere che il proprio reddito sembrava garantire.Per paradosso – ma la Storia è ricca di consimili immeritate crudeltà – la seconda presidenza Obama potrebbe essere ricordata un giorno come l’apice delle disuguaglianze nel corpo sociale americano, dove negli ultimi cinque anni l’1% dei contribuenti più ricchi ha aumentato il proprio reddito annuale del 34,1%, accaparrandosi il 95% della ricchezza nazionale. Inutile e mortificante anche solo tentare di conteggiare le briciole che sono toccate al restante 99%.Come finirà la guerra fra Obama e gli avversari dello Stato assistenziale? Un accordo sul bilancio, è fuor di dubbio, prima o poi verrà trovato, con conseguente sollievo per le banche, gli investitori cinesi e le società di rating. Molte meno certezze si scorgono invece sul debordante Leviatano della neo-povertà. L’unica voce in continuo rialzo che non sembra conoscere crisi.
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