martedì 18 agosto 2015
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C’è da meravigliarsi se, davanti a una tragedia come la doppia esplosione che ha devastato la metropoli di Tianjin, le autorità cinesi levino una colonna di fumo forse ancora più spessa di quella che si è alzata dalle macerie del luogo colpito? Sì e no. Non da oggi i capi di Pechino mettono la 'sicurezza nazionale' al di sopra di tutto. E, schierati dietro a quello sloganscudo, si arrogano il diritto di controllare l’informazione in un modo che certo non è da grande Paese quale la Cina aspira ad essere nel panorama mondiale. È notizia di queste ore: le autorità di controllo delle comunicazioni hanno bloccato una cinquantina di siti e oltre 300 account sui social media, rei di aver pubblicato notizie ritenute 'false' sulle esplosioni di Tianjin.  L’atteggiamento del governo cinese in questo frangente non pare essere dissimile da quello adottato, in circostanze analoghe, in passato. In una parola, per dirla con Manzoni, «sopire e troncare; troncare e sopire». Che a Pechino serpeggi nervosismo è comprensibile: Tianjin è una metropoli di ben 15 milioni di abitanti e il suo è uno dei primi 10 porti al mondo. Di più: il bilancio delle due esplosioni parla, ad oggi, di 114 vittime, 700 feriti e ben seimila persone costrette ad evacuare la zona. Insomma: se è vero che la Cina è abituata alle dimensioni colossali, resta il fatto che l’«incidente di Tianjin» resterà nella memoria del Paese intero e non soltanto degli sfortunati abitanti della città. Anche perché, man mano i giorni passano, i dettagli che emergono inchiodano i politici a pesantissime responsabilità: nel deposito - tanto per dire - erano stivate 700 tonnellate di cianuro di sodio anziché le dieci consentite dalla legge. Logico quindi che si siano scatenate proteste violentissime da parte degli abitanti, molti dei quali hanno apertamente criticato le autorità per la loro reticenza nell’informare il pubblico. Perché mai - quindi - dovremmo sorprenderci che il regime cinese, anche stavolta, stia cercando di propagandare una verità 'ufficiale'?  Semplicemente perché questo sistema non paga. E la Cina dovrebbe aver fatto tesoro di passate esperienze. Mi riferisco alla drammatica vicenda del terremoto nel Sichuan, che nel maggio 2008 costò la vita a quasi 70mila persone. Ebbene, in quel caso, dopo un iniziale, promettente clima di trasparenza, i giornalisti stranieri vennero allontanati dalle zone del sisma: ancora una volta la logica della 'sicurezza nazionale' aveva preso il sopravvento. Ma di fronte alla trasparenza negata si levò la voce di alcuni attivisti, tra i quali l’artista-architetto Ai Weiwei. Questi, supportato da centinaia di volontari, stilò una lista di tutti gli scolari deceduti nel sisma per denunciare l’incuria con cui gli edifici scolastici erano stati costruiti. Tale denuncia costò ad Ai Weiwei un violento pestaggio da parte della polizia e, successivamente, il ritiro del passaporto per alcuni anni. Ebbene: per quanto paradossale possa sembrare, fu proprio la battaglia sul terremoto del Sichuan, che le autorità volevano mettere a tacere, ad assicurare ulteriore notorietà internazionale ad Ai Weiwei. Della serie: le menzogne sono un boomerang, presto o tardi si ritorcono su chi e diffonde. In questo panorama sconsolante, una buona notizia fortunatamente c’è: le parole di cordoglio e solidarietà che Papa Francesco ha pronunciato all’Angelus per la festa dell’Assunta sono rimbalzate anche in Cina. E ciò è avvenuto anche grazie a una rete satellitare privata, che viene considerata vicina al governo cinese. Un piccolo segno, ma di grande importanza.
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