giovedì 17 marzo 2016
​Il presidente del Centro Astalli: il ruolo dei popoli nella giusta accoglienza.  
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Il ruolo dei nostri popoli nella giusta accoglienza Caro direttore, scriveva Martin Luther King a commento della parabola del buon samaritano: «Io immagino che la prima domanda che il sacerdote e il levita si posero fu: «Se mi fermo per aiutare quest’uomo, che cosa mi succederà?». Ma, per la natura stessa del suo interessamento, il buon samaritano rovesciò la domanda: «Se io non mi fermo per aiutare quest’uomo, che cosa ne sarà di lui'?». Il primo atteggiamento è quello dell’Unione Europea e di quella parte dei suoi cittadini che appare sempre più impaurita e al tempo stesso indifferente davanti al dramma dell’umanità in cammino. Sembriamo preoccupati solo di cosa ne sarà di noi e della nostra superba tranquillità continuiamo a chiederci cosa succederà se ci fermiamo a soccorrere i rifugiati, se ci chiniamo sulle loro ferite, se li curiamo, se li accompagniamo fino alla locanda dei nostri centri di accoglienza, delle nostre comunità? Questa è un’Europa stanca, fiaccata dalla paura, ed è l’Europa che trovano i rifugiati sulla loro strada. Un’Europa che non reagisce, che non aiuta, che trasforma in una sorta di emergenza ingovernabile la vita di persone in fuga da gravi crisi umanitarie, considerate per il solo fatto di essere arrivati vivi emergenza e pericolo. Le scelte e la visione di una politica europea sempre più chiusa, ripiegata e impaurita non devono essere le nostre di cittadini europei. Non possiamo continuare a essere confusi e impauriti se non indifferenti ai drammi di milioni di persone che fuggono da guerre e persecuzioni. Smettiamo di credere che l’unica soluzione a tutti nostri problemi sia 'chiudere le frontiere'. Siamo consapevoli che sempre più spesso tali reazioni emotive si traducono improvvidamente in politiche europee e nazionali non lungimiranti, in misure di chiusura e di rinuncia al dialogo. Rendiamoci finalmente conto che l’unica vera risposta ai drammi di chi fugge sono i corridoi umanitari, l’accoglienza progettuale e modelli di integrazione inclusivi e che non sarà certamente un muro a fermare l’umanità in cammino. Ogni giorno al Centro Astalli i rifugiati, con le loro storie e le loro difficoltà ma soprattutto con i loro volti, ci ricordano drammaticamente che continuiamo a gestire il mondo con due pesi e due misure: una frontiera soprattutto ideologica che divide noi da loro. Fintantoché non ci sentiremo tutti pellegrini, compagni di viaggio responsabili gli uni per gli altri non costruiremo e non vivremo in pace in una casa comune ricca nella diversità di ciascuno. I migranti fuggono in cerca di salvezza e di una vita degna per loro e per i propri figli. L’Europa che li può e li deve accogliere, contro ogni ragione e principio li rigetta nel fango. È inevitabile in questi giorni il richiamo al racconto di Genesi che ci parla di un Dio che plasma l’uomo dalla polvere del suolo e soffia nelle sue narici un alito di vita. Quell’alito di vita rende l’uomo e la donna a immagine e somiglianza di quel Dio che è di tutti. E concede quella dignità che, a chi fugge da guerre e persecuzioni, è stata rubata dall’ingiustizia del mondo. Queste persone ricadute nella polvere sperano di recuperare la dignità perduta arrivando in un’Europa, che è stata proclamata Premio Nobel per la pace, e che oggi è ripiegata e impantanata nel fango dei propri interessi. Il vagito di quel bambino risuonato nel fango di Idomeni è ancora una volta una lezione di speranza e umanità che ci viene dal popolo dei rifugiati. Quel vagito che si è fatto strada nell’indifferenza dell’Europa è chiaramente un «io voglio vivere in modo libero e degno». Questo grido deve spingerci all’atteggiamento del samaritano: «Che ne sarà di lui, se non mi fermo?» che ne sarà di loro se come cittadini europei non ci fermiamo, se come cristiani non ci fermiamo a prenderci cura dei nostri fratelli e delle nostre sorelle? 

*Presidente del Centro Astalli Servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia 

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