martedì 18 agosto 2015
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Non più precari, ma lontani da casa e famiglia. È il dilemma davanti al quale alcune migliaia di docenti precari si trovano in queste settimane. Insomma, per raggiungere l’agognato posto di ruolo, in diversi casi ci si dovrà trasferire anche a centinaia di chilometri di distanza. Prospettiva non facile, anche perché spesso non parliamo di giovani laureati, ma di uomini e donne maturi che da anni lavorano già nella scuola e che ora per uscire dalla precarietà si vedono costretti a rivoluzionare la propria vita. Almeno per un po’. Petizioni, proteste, annunci di ricorsi ai tribunali si susseguono in queste settimane, anche se non si può tacere che la regolarizzazione di centomila docenti in forma stabile rappresenta uno dei piani di assunzioni più ampi messi in campo dall’amministrazione dello Stato in questi ultimi decenni. Critiche pretestuose? Voglia di avere la scuola sotto casa? Sarebbe ingeneroso ridurre le proteste di questi giorni a una visione così egoistica. Tra i potenziali docenti 'in trasferta' vi sono padri e madri di famiglia, che da anni già prestano la loro opera nella scuola italiana. Andare a lavorare in un’altra città (e/o Regione) significa non solo lasciare la propria famiglia, ma anche sobbarcarsi una spesa economica non irrilevante, soprattutto se questa 'migrazione forzata' avviene dal Sud verso il Nord, dove il costo della vita è superiore. E lo stipendio di un docente non è purtroppo così elevato da poter affrontare in contemporanea il mantenimento della famiglia a casa e i costi di una trasferta in un’altra città. Bloccare tutto? Creare posti di lavoro a seconda delle richieste nelle singole Regioni, come ha ipotizzato qualcuno? Impossibile e probabilmente sbagliato. Così come è stato un errore indire un solo concorso per l’immissione in ruolo nel 2012, dopo quasi quindici anni di latitanza delle Istituzioni e nel frattempo non bloccare le graduatorie. Eppure il governo non può limitarsi a dire: 'Ti do un posto di lavoro e il mio compito finisce qui'. Oggi, più che mai, sbloccare il contratto nazionale della scuola e adeguare le retribuzioni dei docenti è quanto mai necessario anche davanti a queste 'migrazioni'.  Servono segnali anche piccoli, ma chiari e perciò importanti. Tutta questa vicenda, poi, deve essere d’insegnamento per il futuro. Le giovani generazioni se ne sono già accorte: il posto fisso o vicino a casa non sono più garantiti. Anzi: l’andare lontano da casa – addirittura all’estero – per diversi giovani è una prospettiva quasi obbligata. La scuola sembra non essere immune da tutto questo. Serve dunque un approccio flessibile da parte degli aspiranti docenti, ma anche regole chiare e certe nelle assunzioni con calcoli precisi sui posti a disposizione e concorsi davvero triennali. La 'Buona scuola' lo promette. Ma le fatiche, i sacrifici, le preoccupazioni di tanti lo impongono.
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