lunedì 2 giugno 2014
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«Credilo a me che, se non vieni, te ne pentirai. Dove vuoi trovare un paese più sano per noialtri ragazzi? Lì non vi sono scuole, lì non vi sono maestri, lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa scuola, e ogni settimana è composta di sei giovedì e di una domenica. Figurati che le vacanze dell’autunno cominciano col primo di gennaio e finiscono con l’ultimo di dicembre. Ecco un paese come piace veramente a me! Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili».Oggi Pinocchio rientrerebbe a pieno titolo nella casistica della dispersione scolastica, termine tecnico che indica il precoce abbandono degli studi. Il tema è tornato d’attualità anche ieri, quando Papa Francesco ha incontrato cinquecento bambini provenienti da scuole dell’hinterland napoletano e romano, in zone ad alto rischio. Dispersione. È a suo modo un termine efficace perché rende bene l’idea di giovani persi, nel duplice senso di persi in quanto smarriti ma anche, e soprattutto, persi in quanto abbandonati. Lucignolo fa proselitismo con il suo nuovo amico, è evidente, e Pinocchio ci casca. Si perde lui, e al contempo è perso dalla scuola. Non solo ogni ragazzo che lascia, infatti, perde la sua occasione di diventare un uomo più colto e quindi più libero, ma è la scuola stessa che perde quella risorsa di pensiero e azione che ogni alunno rappresenta. Dunque, una perdita su entrambi i fronti.Ogni età in cui si abbandonano anzitempo gli studi porta con sé cause specifiche che meriterebbero analisi e considerazioni accurate. Ad esempio l’importanza della famiglia e dell’ambiente culturale è determinante nelle fasce più giovani, laddove sui più grandi interviene anche uno scorretto percorso di orientamento verso le scelte scolastiche, fatto spesso con criteri vetusti e troppo generici. Tuttavia nei casi di dispersione possiamo ravvisare un fattore comune: la scuola ha smesso di essere eccitante. Compiamo spesso l’errore di considerare l’attrazione un fattore endogeno, che arriva da dentro. E così vorremmo chiedere ai ragazzi di possedere un’attrazione innata verso la scuola. Compito di quest’ultima è invece anche saper essere eccitante, nel senso di saper suscitare un desiderio che prima non c’era. E di essere pro-vocante, nel senso di saper chiamare i ragazzi a sé e al sapere, uno a uno.Non esiste la classe come moloch, esistono solo soggetti, sempre individuali seppur inseriti in un gruppo predeterminato. È a ciascuno che la scuola deve saper parlare, invitandolo a identificare un nesso fra sé e l’universo conosciuto (anche) attraverso le diverse discipline. Non si tratta per i docenti di fare i fuochi d’artificio davanti ai banchi, anzi perseverare in questa politica li avvia su una china che esaurisce le forze e genera frustrazione per i mancati risultati. Potrebbe bastare essere appassionati di ciò che si fa, saper trasmettere e condividere la passione che li ha portati a coltivare la propria materia, considerare lo studente come un soggetto pensante che ha da dire qualcosa su di sé. L’insegnante, a sua volta, deve essere messo in condizione di personalizzare il percorso e di identificare una meta realistica per ciascun alunno, una meta che faccia concludere che vale la pena "starci". La dispersione scolastica probabilmente non è eradicabile in toto, e certamente servono interventi anche sulle famiglie e sul tessuto della società, ma con una scuola più attenta al singolo e meno ingessata nei suoi programmi potrebbe anche accadere che Pinocchio, alla proposta di Lucignolo, risponda «no grazie, oggi ho di meglio da fare». E chissà se Lucignolo stesso non si interrogherebbe su quella strana risposta, permettendo, a sua volta, l’emergere in sé di una voglia che prima non sussisteva.
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