lunedì 8 luglio 2013
Storica visita del Papa sull'isola. Nella Messa, celebrata al campo sportivo Arena di Lampedusa, il Pontefice ha fatto spesso riferimento all'emergenza: «La tragedia dei migranti per me è una spina nel cuore». Dopo l'Eucaristia si è diretto alla parrocchia di San Gerlando. Le parole ai lampedusani: "Il Signore vi aiuti a proseguire in questo atteggiamento tanto umano quanto cristiano». (Salvatore Mazza) IL TESTO DELL'OMELIA | LA FOTOSTORIA
EDITORIALI
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L'ABBRACCIO «Adesso non siamo più soli» (Claudio Monici)
LE REAZIONI «Emergenze, si volti pagina» (Alessandra Turrisi)
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Il pastorale e il calice di legno. Le­gno dalle barche arrivate dalla di­sperazione alla porta dell’Euro­pa. E la corona di fiori, bianchi e gialli, gettata in mare, a ricordare il troppo legno affondato nello stesso viaggio, col suo carico di donne uo­mini e bambini. Ventimila, dicono, forse di più. Ventimila, forse di più, speranze uccise all’inseguimento del sogno di poter fuggire a una vita sen­za speranza. Probabilmente di più. E poi le mani, tutte e due, a strin­gere a conchiglia le mani tese verso di lui.I gesti di papa Francesco, in una mat­tina, quella trascorsa a Lampedusa, che è stata un gesto già in sé stessa. A vergognarci delle nostre omissio­ni, del nostro «cuore anestetizzato». Del nostro credere di non entrarci, con questa tragedia, del nostro pen­sare che la disperazione degli altri non debba essere anche la nostra, come nostra è la tragedia. Come se «quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte», non dovessimo sen­tirle attraversare anche le nostre co­scienze. Francesco è venuto qui «a pregare... perché ciò che é accaduto non si ripeta... Non si ripeta, per fa­vore ». E, per questo, a invitare tutto il mondo ad avere «il coraggio di ac­cogliere coloro che cercano una vi­ta migliore». E, soprattutto, a rin­graziare quest’isola perché «Lampe­dusa è un faro, sia d’esempio a tut­ti », e i suoi abitanti per «l’acco­glienza » e la «tenerezza» che in que­sti anni hanno saputo dimostrare verso gli immigrati che arrivano su queste spiagge. Un esempio – ha ag­giunto – di carità, di amore.Picchia forte il sole, su Lampedusa. Ma le parole di Francesco sono an­cora più dure. «Dov’è il sangue del tuo fratello? Abbiamo perso tutti la responsabilità del prossimo». Paro­le per ciascuno di noi, caduti nella «globalizzazione dell’indifferenza». Che ci rende tutti «responsabili sen­za nome e senza volto». Chi di noi ha pianto per le vittime?, chiede Francesco, nel silenzio di questa spianata sull’avamposto del vecchio continente.Non ci sono autorità, qui, oggi. Ha chiesto, Francesco, che non ci fossero, perché voleva che fosse solo un mo­mento di preghie­ra. Meglio, anche per togliere a noi tutti l’alibi, o la tentazione, di guar­dare verso di loro e pensare, una vol­ta di più, che la tragedia dell’emi­grazione sia un problema loro. No, troppo comodo, troppo facile. È no­stro, invece, di ciascuno di noi, ripete il Papa; di tutti noi, prigionieri di un finto sogno, quello fatto delle cose che abbiamo e delle altre che vogliamo, o vorremmo, sogno che secca il cuore.Parole e gesti, quelli del papa a Lam­pedusa, destinati a restare. A inizia­re da quel suo andare al largo, sul­la motovedetta della Capitaneria di porto, accompagnato dall’arcive­scovo di Agrigento Francesco Mon­tenegro, nel frastuono delle sirene dei pescherecci che lo scortavano, fattosi improvvisamente silenzio, denso e quasi irreale, nel momen­to della preghiera silenziosa di Francesco per quei morti in mare. La sua «spina nel cuore», li ha chia­mati. «Spero proprio che si capisca il senso di questo gesto», ha detto ai suoi collaboratori dopo aver getta­to in mare la corona di crisantemi, mentre la motovedetta si riavviava verso il porto. Verso quel molo Fa­varolo dove ad accoglierlo, ha tro­vato chi la traversata della speranza l’ha compiuta. Per approdare in que­sto lembo di terra e sperare.Chissà quanti avranno capito quel gesto. E, dopo, quel suo trattenersi a lungo sul molo, salutandoli tutti a uno a uno, sorridendo e parlando parole semplici per «ringraziarvi del­la vostra accoglienza, oggi preghe­remo l’uno per l’al­tro, anche per quelli che oggi non sono qui», e ascoltando il racconto della loro avventura. Chissà quanti, più tardi, hanno capito le pa­role di un’omelia quasi struggente, nell’invitarci esigen­te - «a iniziare da me» - di un dramma che sembra essere senza fine, e che im­porrebbe di ripensa­re al complesso dei nostri stili di vita, delle nostre sca­le di valori, del nostro essere cri­stiani.Ha detto il direttore della Sala Stam­pa Vaticana, padre Federico Lom­bardi, che i «primi riscontri» anche «a livello internazionale» sulla vi­sita di Francesco qui a Lampedusa «sembrano aver colto lo spirito» che ha mosso il Papa. E ha ri­cordato, Lombardi, come la sen­sibilità del Pontefice per la «tra­gedia mondiale» dei rifugiati non sia occasionale, tutt’altro, citando l’invito a padre Bergoglio a visitare il Centro Astalli dei gesuiti a Roma, e come sia poi maturata la scelta di venire in questo avamposto del­l’Europa che «ha permesso alle per­sone di tutto il mondo di cogliere questa sua preoccupazione».Una visita insomma, per Lombar­di, «molto positiva». Sottolineando anche «l’accoglienza della Chiesa di Agrigento», l’«atteggiamento dei sa­cerdoti, come parte di una Chiesa che si fa parte veramente attiva di questo impegno di solidarietà con i migranti». Una visi­ta «che ha dato al mondo una vera te­stimonianza che speriamo resti: que­sto è il problema di questi eventi, se pas­sano in una giorna­ta o entrano a far parte della coscienza di una comunità». Ma di sicuro «il Pa­pa, come abbiamo imparato a cono­scerlo, non man­cherà di richiamarci a questo impegno».Lombardi, infine, ha voluto ringra­ziare anche per la «disponibilità e l’impegno» di tutti coloro che «han­no contribuito alla riuscita di que­sta giornata, organizzata in pochi giorni e per la quale tutti si sono da­ti da fare, dal sindaco ai volontari, alla Chiesa. Il Papa - ha ribadito ci­tando lo stesso ringraziamento e­spresso personalmente più volte da Francesco - è loro veramente grato».

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