venerdì 3 ottobre 2014
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Siamo alla vigilia del Sinodo straordinario sulla famiglia e le sfide pastorali ad essa legate. L’evento ha suscitato un insieme di attese in mondi diversi, come di rado accade per una convocazione ecclesiale di questo tipo. Da parte sua, la Chiesa si interroga su come aiutare le famiglie, cristiane e non solo, ad essere buona notizia nella società di oggi, frammentata e disorientata. Nel mondo occidentale la famiglia è in crisi profonda. Con differenze importanti tra regione e regione, le statistiche continuano a confermare un trend: diminuzione dei matrimoni, aumento delle separazioni e, soprattutto,  aumento esponenziale delle famiglie monopersonali. Così chiamate, ma che in realtà famiglia non sono. Sempre più le nostre sono città popolate da individui isolati. Eppure, paradossalmente, i sondaggi rilevano in Italia e Francia un 75% di giovani che sognano di sposarsi e restare insieme per tutta la vita. Il desiderio e l’aspirazione restano, ma le paure prevalgono. Indebolire e far scomparire la famiglia non è certo un progetto esplicito. Pochi giungono a negare la grande utilità dell’istituto familiare per la creazione di una forma stabile di tessuto sociale. Fare famiglia, tuttavia, sembra una fatica improba. Soprattutto, essa crea legami troppo lunghi e impegnativi, limitativi della libertà personale. Meglio dunque inventare e affiancare altre forme di convivenza, tutte legittime 'se c’è l’amore'. Nuove forme di esperienza relazionale apparentemente compatibili con la famiglia, mentre la scardinano. In realtà, come ho detto, non sono le convivenze di ogni genere a crescere, né le coppie di fatto a scapito dei matrimoni religiosi o civili. Ma coloro che vivono soli: 7,7 milioni di italiani. Il 31% delle famiglie, con  .una punta del 41% in Liguria. E non solo a causa dell’invecchiamento. È il frutto del processo di iperindividualizzazione della società contemporanea. Quella 'seconda rivoluzione individualista' studiata da Gilles Lipovetsky, l’'esasperazione interna' di cui parla Massimo Recalcati a proposito della sostituzione di Dio con l’io nella centralità teologica ed esistenziale. L’io prevale ovunque sul noi, l’individuo sulla società, il bene proprio sul bene comune. I diritti individuali su quelli della famiglia, e collettivi in generale. La stessa famiglia è concepita non più come cellula base della società ma come cellula base per l’individuo. Qualora non appaia più funzionale al benessere personale, essa deve disciogliersi. La cultura contemporanea esaspera a tal punto la nozione di individualità da provocare una vera e propria idolatria dell’io. Giuseppe De Rita l’ha definita 'egolatria'. Con l’indebolirsi della 'cultura della famiglia' si mette a rischio la tenuta della società stessa. Non è più lo 'stare insieme' ma lo 'stare separati' a costituire la strategia che di sopravvivenza nelle megalopoli contemporanee. La crisi della famiglia si accompagna a quella di molte forme comunitarie, in una eclissi della vita associata: è uno dei frutti amari della globalizzazione. Un processo che ha risvolti drammatici nelle solitudini dolorose delle città, particolarmente sui più deboli: i bambini, gli anziani, i malati. Di grande significato è stato che papa Francesco abbia avuto un’udienza speciale con gli anziani e i nonni. Un messaggio positivo e rassicurante per ricordare che soltanto l’incontro tra le generazioni può salvare la nostra società dall’egolatria. Far crescere insieme i piccoli e gli anziani, per far crescere tutta la società. In famiglia, ma anche dove non c’è più la famiglia (che così si ricostruisce). Ha detto il Papa nell’omelia: «Se non si ritrova un equilibrio nuovo, fecondo tra le generazioni, quello che ne deriva è un grave impoverimento per il popolo, e la libertà che predomina nella società è una libertà falsa, che quasi sempre si trasforma in autoritarismo». La vera libertà è vivere insieme, non 'scartando' nessuno. È questo uno dei più grandi compiti della famiglia oggi. *presidente della Comunità di Sant’Egidio
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