giovedì 18 settembre 2014
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Per ribadire i fondamentali è bene cominciare da un punto base: la fecondazione artificiale non è una terapia. Non rimuove le cause dell’infertilità e, quindi, non la cura. Quello che riesce a fare, in percentuali che restano molto basse e variano in base a una serie di fattori, è ottenere un bambino. Non è poco, si dirà. Però, come ampiamente dimostrato dalla letteratura scientifica e dalla pratica clinica, l’infertilità è la spia di altre patologie anche gravi: limitarsi a by-passare il problema è un grave errore. Indagare nella ricerca delle cause, intervenendo a monte sulla tutela della fertilità e la prevenzione dell’infertilità, risulterebbe invece non solo più conveniente per il sistema sanitario ma permetterebbe di intervenire precocemente su una serie di patologie. «L’infertilità maschile è in aumento perché già nei giovani il potenziale di fertilità non è più uguale a quello dei loro nonni alla stessa età – chiarisce Carlo Foresta, andrologo e docente di Patologia clinica all’Università di Padova –. Uno studio elaborato nel corso del progetto Androlife ha documentato che a 18 anni un giovane su 3 è a rischio infertilità e non lo sa. Le motivazioni sono molte e diverse, ma c’è un declino nella produzione di spermatozoi». Il problema è la sottovalutazione. «Il giovane che si trova in questa condizione – dice l’andrologo – si ritroverà una volta adulto a subirne le conseguenze sul piano riproduttivo. Il 2% dei ragazzi nasce con criptorchidismo, ovvero a rischio infertilità. Così come i soggetti in sovrappeso, o quelli che fanno uso di droghe, anche quelle cosiddette "leggere", che influenzano negativamente la funzione del testicolo. Oppure ancora quelli che, da rapporti non protetti, contraggono una malattia sessualmente trasmessa: nel 20% dei ragazzi abbiamo trovato la presenza del Papilloma virus». Le ragazze vanno dal ginecologo perché già ci va la mamma. Pochissimi padri pensano all’andrologo. Fino a non molto tempo fa la visita di leva suppliva, almeno in parte, oggi anche quello screening è venuto meno. «È un suggerimento che dò da anni al ministero della Salute: è fondamentale intervenire prima – conclude Foresta –: fare colloqui, verificare lo stato di salute dei ragazzi. La provetta è la fine di un processo, ma lavorando a monte si può molto più che dimezzare la popolazione che fa ricorso alla provetta». Non va meglio sul piano della prevenzione al femminile. Per Giorgio Vittori, già presidente dei ginecologi Sigo e direttore sanitario dell’Ospedale San Carlo di Roma, il fenomeno va inquadrato prima di tutto alla luce dei dati: «A fronte di 525mila nati l’anno, con il 20% da genitori stranieri, spicca l’alto numero di fecondazioni artificiali censite: 100mila», anche se le nascite sono più o meno un decimo. «Le coppie che si rivolgono ai centri di fecondazione assistita – aggiunge Vittori – sono dunque il 25% del totale. Qual è il tasso di infertilità della popolazione italiana?». Le coppie e le procedure procreative a loro collegate da dove arrivano e dove vanno? «In questi anni non si è fatta una corretta informazione sulla riproduzione – spiega il ginecologo –. L’età media della prima gravidanza è 35 anni, quando a 37 anni c’è il crollo della riserva ovocitaria e il concepimento diventa molto più difficile. Senza contare che le malattie benigne dell’apparato femminile come l’endometriosi o la fibrosi si concentrano proprio a 35 anni. È necessario dare precocemente informazioni alle famiglie, rinforzare le strutture del Servizio sanitario nazionale per la conservazione dell’integrità femminile». Tutto questo anche per una questione di economia sanitaria: «Una pratica di procreazione assistita costa, stimando al ribasso, circa 2.500 euro. Moltiplicando per il numero di coppie fanno 250milioni di euro. Le procedure ostetrico-ginecologiche in Italia sono circa 70mila e il rimborso è intorno ai 3mila euro. Stiamo spendendo per pratiche di fertilità quasi la stessa cifra utile a tenere aperti i reparti di chirurgia ginecologica». E i costi psicologici? Avere un figlio non dipende solo dall’efficienza della "macchina" riproduttiva. «Quasi mai l’infertilità è un problema esclusivamente fisico. Nell’essere umano è impossibile separare fisiologia, psicologia e sentimenti – spiega Giuliana Mieli, psicoterapeuta e autrice de Il bambino non è un elettrodomestico –. Proprio per questo, è necessario capire se il sintomo fisico è espressione di un malessere che fisico non è. La genitorialità è un passaggio centrale dell’esistenza, che segna, sia per l’uomo che per la donna, la fine di un’epoca, quella in cui si è stati figli, e connota attraverso l’evento biologico della maternità, sia fisicamente che emotivamente, il passaggio alla responsabilità genitoriale che non tutti si vogliono assumere». Con la sua esperienza trentennale al reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza, Mieli non fa sconti: «Non è casuale che non si indaghi sulle cause, perché alla base c’è una disattenzione affettiva che parte da molto lontano. I disturbi della maternità, qualunque sintomo scelgano per palesarsi, emergono sempre da storie antiche, ma non si cerca di capire il perché la maternità sia preclusa, si aggira l’impedimento».
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