domenica 29 luglio 2012
Da ragazzo consideravo il giornalismo la professione perfetta; intrisa di impegno sociale, trasudante emozione, partecipe del mutamento; una garanzia di successo. Pochi decenni sono bastati per trasformare un'immagine elitaria e romanzesca in realtà massificata poi inflazionata; manovalanza intellettuale, digitalanza forsennata. Nel frattempo vicissitudini e ripensamenti hanno profondamente mutato il mio sguardo e riposizionato il valore delle cose, delle azioni. Giornalista contende ad artista un livello molto basso dell'operare umano in questo tempo e le ammirevoli eccezioni rendono onore alla persona, non alla professione tantomeno alla categoria.Questo è l'ultimo pezzo che scrivo per Avvenire. La serenità nell'accettare una proposta che mai avrei propiziato e risultava gratificante proprio nell'essere imprevedibile è stata determinata da una duplice considerazione elementare: avrei fatto il possibile per esserne degno, avrei accettato di non essere considerato tale. Cosa ci si aspetta da me resta, per me, un mistero, anche se di quelli piccoli. Conoscendo i difetti e dubitando dei pregi so di non essere adeguato al ruolo pubblico che mi è assegnato: la trasgressione del punk, la banalità accattivante del rock, la rassicurazione del neoconvertito. Invertire l'ordine considerando trasgressivo il neoconvertito e rassicurante il punk, ferma restante l'accattivante banalità del rock, nulla cambia.Un po' ci gioco nel dirlo ma dovendo sintetizzare le mie generalità, in mancanza di una professionalità certificata dall'appartenenza ad un albo, ne ho fatto formula: montano, italico, cattolico romano. Ogni termine può essere, all'occorrenza, arricchito e specificato da racconti, mitologie, annotazioni a margine e cospicue riserve di buon umore. Non era impossibile ipotizzare che, senza malevolenza da parte di alcuno, la collaborazione potesse interrompersi per forza di cose, nei fatti; per un po' l'ho anche sperato. Riempire di parole questo spazio si è confermato un impegno; ogni settimana, mese dopo mese, gli ho dedicato un pomeriggio e la sera con ripensamenti notturni e il mattino dopo; sempre a chiedermi di cosa, come e perché, scrivere; intravedere una soluzione accettabile e praticarla, a volte con soddisfazione a volte sospendendo il giudizio.Uno sguardo partecipe nell'avvicendarsi delle stagioni, dei cicli vitali, delle Celebrazioni e delle ricorrenze, degli accadimenti luttuosi e dell'irrompere della gioia; una vita, una famiglia, una comunità, un paesaggio. Ben sapendo che molto è a portata di mano per chi fa dell'indignarsi una prospettiva esistenziale ho preferito cogliere della gratuita ricchezza del vivere contro ogni riduzione economicista, ideologica, moralista. Dalla prima domenica del settembre 2011 all'ultima del luglio 2012, 45 corrispondenze dal crinale; avrò modo di rileggere e riflettere e forse trarne considerazioni al momento impensate. 11 mesi possono essere una scansione di tempo molto breve o bastante, sorrido guardando Neasseta Renna che corre nel recinto; tra guizzi e brusche frenate, impennate, ondivaghe accelerazioni e sospensioni di un trotto leggero impara a conoscere il mondo per ciò che le è concesso. 11 mesi è per un cavallo il tempo di gestazione, il tempo del nascere; Verbena e Tetide, giumente di prima gravidanza, lo stanno sperimentando in attesa del compimento. Il solo osservarle rallegra i miei giorni.Tra i cuccioli che crescono e i vecchi che vanno a morire l'allevamento, doma, la buona educazione. Il tempo per partire, il tempo di tornare, il tempo di guarire, quello che fa ammalare.
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