lunedì 27 agosto 2018
Francesco: «Sulla nave Diciotti non ho messo lo zampino». Sulle accuse di Viganò: «Non parlo, giudicate voi»
Il Papa: in Irlanda fede più forte delle ferite degli abusi
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«Bisogna accogliere potendo integrare ma anche vedere bene prima di respingere i migranti che finiscono nuovamente dai torturatori trafficanti di uomini». Di ritorno dall’incontro mondiale delle famiglie a Dublino Papa Francesco dialoga coi giornalisti sull’aereo della Aer Lingus che lo riporta in Vaticano. Parla dei migranti della Diciotti accolti dalla Cei, di pedofilia e delle accuse mossegli dall'ex nunzio a Washington Carlo Maria Viganò. Sul caso dice: «Leggete voi attentamente il comunicato e fatevi un giudizio, con la vostra maturità professionale». Sugli abusi invita tutti i cattolici a parlare affinché non esistano più coperture. Ma rivolto ai media invita a non offrire all’opinione pubblica dei colpevoli prima che venga accertata la colpa. (qui la trascrizione del sito della Santa Sede).

Lei ha ripetuto anche in questi giorni che l’accoglienza del migrante e dello straniero è sempre una sfida. Si è risolta la vicenda della nave Diciotti: c’è il suo zampino dietro questa soluzione? (La domanda è di Avvenire)
Lo zampino è del diavolo non mio! No. Non ci ho messo lo zampino. Quello che ha fatto il lavoro con il ministro dell’Interno è stato il bravo padre Aldo (Bonaiuto, ndr), che segue l’opera della Comunità di don Benzi e lavora per la liberazione delle prostitute. È entrata subito anche la Conferenza episcopale italiana. Il cardinale Gualtiero Bassetti, che era qui e ha seguito la vicenda dall’Irlanda, e il sotto-segretario don Ivan Maffeis, che negoziava con il ministro. In gran parte, più di cento, li ha presi la Conferenza dei vescovi. Non so come sia stato il negoziato, se sotto l’ombrello del Vaticano, ma so che i migranti saranno accolti a Rocca di Papa, nella comunità Mondo Migliore e lì faranno quel lavoro che si fa per l’integrazione dei migranti. Quando sono andato all’università di Roma Tre, tra i ragazzi che mi avevano fatto domande c’era anche una delle tredici persone che erano sul volo di ritorno del mio viaggio a Lesbo e ora studia all’università. Questo è il lavoro d’integrazione.

In tanti vedono un ricatto all’Europa sulla pelle di questa gente. Lei che cosa pensa?
Quello di accogliere i migranti è un principio vecchio quanto la Bibbia. Nel Deuteronomio, nei Comandamenti, Dio comanda questo: accogliere lo straniero. È nello spirito del cristianesimo e un principio morale. Non si può però accogliere alle belle étoile, ma in modo ragionevole, con prudenza. È un accogliere ragionevole, per questo bisogna coinvolgere tutta l’Europa. Ho capito questo con l’attentato in Belgio: i ragazzi che l’hanno compiuto erano belgi, figli di migranti, non integrati, ghettizzati. Non sono stati integrati. Per questo ho sottolineato: l’integrazione è la condizione per accogliere. Ne ho già parlato nel viaggio in Svezia perché la Svezia è stata un modello in questo. E poi, come pure ho detto, ci vuole la prudenza del governante per accogliere quanti possono essere integrati. Un popolo che può ricevere ma non integrare è meglio non riceva. E questo è il nodo nel dialogo oggi nell’Unione europea. Si deve continuare a dialogare, le soluzioni si trovano. Ho visto poi in un filmato clandestino registrato di nascosto dove si vede ciò che succede a coloro che vengono rimandati indietro e che sono ripresi dai trafficanti. È doloroso: le donne e i bambini sono venduti, ma gli uomini ricevono torture, le più sofisticate. Ho inviato il filmato ai miei due sottosegretari per le migrazioni. Per questo prima di rimandarli indietro, si deve pensare bene, bene, bene. Poi ci sono altri migranti donne, che vengono ingannate con promesse di lavoro, e che finiscono sul marciapiede, schiavizzate sotto minaccia dei trafficanti.

Lei ha detto in queste ore di essere stato colpito dalle parole del ministro irlandese per l'infanzia Katherine Zappone sulle Case per Madri e Bambini? Cosa le ha detto?
La ministra mi ha detto: “Santo Padre, abbiamo trovato fosse comuni di bambini, stiamo facendo delle indagini, e la Chiesa ha qualcosa a che fare con tutto ciò”. Mi ha detto questa cosa con molta educazione e rispetto, equilibrio. L’ho ringraziata. Mi ha inviato un memorandum, lo devo ancora studiare. Questo per me è stato un esempio di collaborazione costruttiva.

Cosa pensa del dossier appena pubblicato dall’ex nunzio Viganò? L’ex nunzio sostiene che le parlò esplicitamente degli abusi commessi dal cardinale McCarrick. È vero?
Ho letto questa mattina quel comunicato di Viganò. E sinceramente devo dirvi questo: leggete voi attentamente e fatevi un giudizio. Io non dirò una sola parola su questo perché il comunicato parla da sé e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni, con la vostra maturità professionale.

Che cosa è uscito dal suo incontro con le otto vittime di abusi?
Ci voleva fare questa riunione di ascolto. È stato per me doloroso. Ma è uscita da lì la proposta di chiedere perdono che ho fatto all'inizio della messa su cose concrete. Per esempio alcune cose che non le sapevo. Come quella delle mamme nubili alle quali venivano tolti i bambini e dati in adozione e alle quali le religiose di questi istituti dicevano loro che era peccato mortale ricercare poi figli, o i figli la propria madre e per questo motivo ho messo nella preghiera di perdono anche questo peccato contro il quarto comandamento. È per me doloroso, ma ho la consolazione di poter aiutare a chiarire queste cose.

Marie Collins, che è stata vittima di abusi, ha detto che lei adesso non è più favorevole all’istituzione di un tribunale in Vaticano per giudicare la responsabilità dei vescovi negli abusi. È così?
No. Non è così. Mary Collins, che stimo e a cui voglio bene, è un po fissata su questa idea. Il riferimento è al mio motu proprio “Come una madre amorevole” nel quale ho scritto che per giudicare il vescovo sarebbe bene fare un tribunale speciale. Però si è visto che questo non è percorribile e neanche conveniente. Un vescovo va giudicato sì da un tribunale ma non sempre dallo stesso, a motivo delle diverse culture dei vescovi dei diversi Paesi. È bene allora una giuria ad hoc per ogni vescovo, che non sia la stessa in ogni caso. Quando un vescovo va giudicato, il Papa istituisce la giuria migliore per quel vescovo e per quel caso. Funziona meglio così. Sono già stati giudicati parecchi vescovi. L’ultimo è stato l’arcivescovo di Guam, che ha presentato l’appello. E per il quale, essendo un caso molto, molto complicato, ho deciso di usare un privilegio che ho: quello ci avocarmi l’appello con l’aiuto di una commissione di canonisti. A breve avrò l’informativa. Adesso c’è anche un altro giudizio in corso e vediamo come finirà.

Nella sua Lettera al popolo di Dio lei invita tutti i fedeli a lottare contro gli abusi. Può dirci che cosa i cattolici concretamente possono fare?
Quando si vede qualcosa, bisogna parlare subito: questo deve fare il popolo di Dio! Tante volte sono i genitori a coprire l’abuso di un prete, perché non credono al figlio o alla figlia. Ogni settimana più o meno ricevo persone che hanno subito abusi. Ho ricevuto una vittima che da quarant’anni soffriva questa piaga di silenzio perché i genitori non avevano creduto. Bisogna parlare, questo è importante, con le persone giuste.

In Francia un prete chiede le dimissioni del cardinale Barbarin di Lione per aver coperto preti pedofili… Che ne pensa?
Se ci sono sospetti, prove o mezze prove, non vedo niente di male nel fare un’indagine, sempre che si faccia sul principio giuridico fondamentale del nemo malo nisi probetur, nessuno è cattivo se non lo si prova. Tante volte c’è la tentazione di considerare subito le persone colpevoli e creare un clima di colpevolezza, come fanno alcuni media - non voi. Per me è importante come si procede e come i media possono aiutare. Tre anni fa è scoppiato a Granada, in Spagna, il problema di un gruppetto di sette-otto sacerdoti accusati di abuso di minori e di orge. L’accusa l’avevo ricevuta io direttamente, da una lettera scritta da un giovane ventitreenne che lavorava in un collegio religioso di molto prestigio. Mi chiedeva cosa fare per denunciare. Gli risposi: “Vai dall’arcivescovo”. L’arcivescovo ha fatto tutto quello che doveva fare e il caso è arrivato anche al tribunale civile. I preti sono stati condannati sui media, si è creata un clima di ostilità e di odio verso di loro, hanno sofferto umiliazioni. La conclusione però è stata che erano tutti innocenti ed il denunciante è stato condannato a pagare le spese. Questi erano stati condannati dai media. Per questo il vostro lavoro è delicato, dovete dire le cose ma sempre con la presunzione legale di innocenza e non con la presunzione di colpevolezza.

In Irlanda come in altri Paesi sono state approvate leggi che permettono l’aborto. Lei come si sente?
Sull’aborto voi sapete che cosa penso. Ma non permetto mai di incominciare a discutere il problema dell’aborto dal fatto religioso. L’aborto non è un problema religioso, noi non siamo contro l’aborto per motivi religiosi. No. È un problema umano e va studiato dall’antropologia. È un problema antropologico, sull’eticità di far fuori un essere vivente per risolvere un problema.

Che cosa vorrebbe dire a un padre di una famiglia cattolica il cui figlio gli dice di essere omosessuale?
Dirò per prima cosa di pregare, poi di non condannare, di dialogare, di capire, fare spazio al figlio o alla figlia. Una cosa quando si manifesta da bambino, che ci sono tante cose da fare con la psichiatria, un’altra cosa quando si manifesta dopo vent’anni… ma mai direi che il silenzio è un rimedio. Ignorare un figlio o una figlia con tendenza omosessuale è una mancanza di paternità o maternità, se voi non siete in grado, chiedete aiuto. Non cacciatelo dalla famiglia, è una sfida seria.

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