sabato 28 settembre 2013
​Il vescovo Monari: etero e omosessuali hanno gli stessi diritti ma non per questo i comportamenti sono omologabili. «Mettere tutto sullo stesso piano significa negare che la procreazione significhi qualcosa, sia un valore sociale». (Francesco Ognibene)
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Sul tema dell’omofobia è indispensabile chiarezza di concetti e di termini. E quindi è giusto dire che «la tendenza omosessuale non diminuisce di un millimetro la dignità della persona», così come «non c’è dubbio che alla persona omosessuale vanno riconosciuti gli stessi diritti della persona (e i medesimi doveri) che sono riconosciuti agli altri». Ma «questo non significa che due comportamenti diversi, che danno contributi del tutto diversi alla edificazione della società umana, debbano essere pensati equivalenti per decreto. Le decisioni giuridiche possono comandare o proibire, ma non mutano la realtà delle cose». È il giudizio espresso dal vescovo di Brescia Luciano Monari in un suo articolo che compare oggi sul settimanale diocesano La Voce del popolo nel quale il presule prende posizione sul significato culturale della legge anti-omofobia. Monari sottolinea che è fuori discussione «il rispetto di chi ha orientamenti omosessuali, della loro dignità di persone, della loro libertà personale», ma trova quantomeno «curioso» il fatto che la legge appena varata dalla Camera, e in attesa del passaggio al Senato, «vuole anche decidere che l’eterosessualità e l’omosessualità sono omologabili come due modi equivalenti di vivere la sessualità». Il fatto che non siano equiparabili è persino ovvio, anche se il clima culturale non consente ormai più di parlare di realtà comunemente accettate: «La totalità delle persone umane viventi – ricorda monsignor Monari – nascono dall’incontro di uno spermatozoo maschile e di un uovo femminile. Bisognerà dunque riconoscere all’eterosessualità almeno la caratteristica di essere procreatrice, continuatrice della specie, cosa che non può essere evidentemente affermata dell’omosessualità. Mettere tutto sullo stesso piano significa negare che la procreazione significhi qualche cosa, che sia un valore, che sia utile alla società, che produca futuro e speranza». Per dissipare qualunque fraintendimento, Monari sottolinea che sostenere queste convinzioni non vuol dire «disprezzare (o anche solo valutare meno) chi vive una tendenza omosessuale», ma questo neppure significa che «l’impulso omosessuale è equivalente a quello che conduce verso l’altro sesso». Alla luce di queste considerazioni, il vescovo di Brescia si augura «che la legge non voglia decidere che cosa si debba pensare sulla sessualità, etero o omo che sia», e «che non voglia chiudere la riflessione come se tutto fosse chiaro e chi la pensa diversamente sia soltanto un depravato che immette veleni nel corpo sociale». Perplessità vengono espresse anche sull’opportunità di una nuova legge: «Se si vogliono colpire i comportamenti lesivi della dignità delle persone con tendenze omosessuali, d’accordo – scrive monsignor Monari –, si dovrà però spiegare perché non bastino le leggi vigenti e relative aggravanti ("per motivi abietti") riconosciute e applicate da decenni. Se invece si vuole proibire di fare una distinzione tra comportamenti omosessuali ed eterosessuali la legge farà un buco nell’acqua. Non è proibendo di parlare e di discutere che si raggiungeranno convinzioni vere sulla questione, che si comprenderà meglio la sessualità e che si costruirà una società più umana».A supporto degli argomenti del vescovo, il settimanale bresciano pubblica anche un’intervista nella quale don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio diocesano per la famiglia, affronta gli aspetti relativi alla cura pastorale delle persone omosessuali, e rilanciando le risposte del Papa a Civiltà Cattolica ricorda che Francesco «ha inteso non cambiare la dottrina» ma «richiamare con forza la Chiesa a concentrarsi sull’essenziale. Tutta la tensione sta nel proporre Gesù Cristo con la sua verità sull’uomo in maniera comprensibile, affascinante e intrisa di tenerezza. Ha voluto provocare la Chiesa a farsi carico di queste persone e di quelle che chiama giustamente le loro "ferite sociali". Non possiamo rimanere indifferenti». Don Comini parla poi dell’«esperienza che facciamo» su questo terreno, che «è proprio quella richiamata dal Papa: vediamo che molte di queste persone soffrono profondamente e hanno bisogno di un abbraccio di comunione dalla Chiesa e di sperimentare "la freschezza ed il profumo di Cristo"». Proprio per questo, e proprio ora, non bisogna aver paura di parlare: «La chiarezza non è nemica di nessuno e il distinguere è riconoscimento della realtà, nel pieno rispetto delle singole identità personali e della libertà di scelta».
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