mercoledì 23 dicembre 2015
Daniele ha 28 anni e vive a Padova: fin da piccolo ha saputo di essere un figlio adottivo e la scoperta, anche grazie alle capacità educative dei genitori, non l’ha mai turbato. «Avrò la possibilità di continuare a scrivere la mia storia insieme a due mamme e a due famiglie di cui mi sento parte».
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Anche per Daniele Vergari, tecnico informatico che vive e lavora a Padova, sarà un Natale molto particolare. Bellissimo, no? «Direi piuttosto agrodolce, perché in gennaio ho ritrovato la mia mamma biologica, ma ad aprile ho perso mio padre adottivo. Un tumore all’esofago se l’è portato via in due mesi. Non avessi avuto due "mamme" a sostenermi, non so come sarei riuscito a uscirne». Due mamme, una appunto adottiva l’altra naturale, che fin da subito hanno deciso di avere rapporti cordiali, di aiutarsi, di collaborare alla gestione di quel figlio a cui, a gennaio di quest’anno, la vita è stata profondamente rivoluzionata. Fin da piccolo Daniele, oggi ventottenne, ha saputo di essere un figlio adottivo e la scoperta, anche grazie alle capacità educative dei genitori, non l’ha mai turbato. «Anzi – racconta – mi sono convinto di essere un figlio speciale, un figlio voluto due volte. Anche se nel piccolo paese del Vicentino dove sono cresciuto non tutti erano disponibili a guardare la mia situazione con lo stesso entusiasmo. Alcuni mi hanno considerato a lungo un figlio di nessuno». Un atteggiamento che non ha impedito al ragazzo di crescere bene, studiare e, soprattutto di essere profondamente amato, «anche quando i miei genitori hanno messo al mondo altri due figli che oggi hanno 24 e 19 anni. Tra noi fratelli non ci sono mai state differenze di trattamento e i rapporti sono sempre stati ottimi». Un paio d’anni fa Daniele ha però sentito scattare dentro di sé il desiderio, naturalissimo, di saldare i conti con il suo passato. Di colmare quel vuoto che di tanto in tanto affiorava, assegnando nomi e volti alle sue radici. «A maggio 2014 mi sono rivolto al Tribunale dei minori di Venezia. Una volta saputo il nome della mia mamma biologica, che non aveva fatto alcuna richiesta di anonimato, in un paio di settimane l’ho rintracciata». Il contatto, prima ancora che la richiesta giudiziaria faccia il suo iter, avviene attraverso Facebook. Prima una domanda di amicizia, poi qualche messaggio scambiato e, quando dopo qualche ora, lui chiede: «Ma sai chi sono in realtà?». Lei ha già capito tutto: «Sei mio figlio Daniele». Non c’è bisogno di aggiungere altro. È il filo di una storia che si riannoda dopo tanti anni. Poi arriva l’incontro personale, poi la conoscenza tra la mamma naturale – che vive in un’altra città del Veneto – e la mamma adottiva. Da quel giorno Daniele e la sua mamma biologica si sentono tutti i giorni, spesso si vedono. E in questi mesi c’è stata anche l’opportunità di scoprire la famiglia che la donna ha costruito dopo essere stata costretta ad abbandonare quel suo primo figlio. «Era giovanissima, non era sposata, non aveva né lavoro né aiuti. Mio padre naturale – prosegue Daniele – è svanito subito dopo aver scoperto che lei era rimasta incinta. Cosa poteva fare? Ha ascoltato due assistenti sociali, più o meno sue coetanee, che l’hanno convinta che non sarebbe stata una buona mamma. Però mi ha sempre cercato e per tutti questi anni è rimasta in attesa di riabbracciarmi».  Determinante anche il ruolo della mamma adottiva che ha aiutato il figlio nella ricerca delle sue radici biologiche, l’ha incoraggiato e ha gioito con lui quando la fatica è stata coronata dal successo. «Non tutti i genitori adottivi l’avrebbero fatto. Sono stato davvero fortunato, anche perché d’ora in poi avrò la possibilità di continuare a scrivere la mia storia insieme a due mamme e a due famiglie di cui mi sento parte. In modo diverso, ma ugualmente pieno, autentico. Per me è stato abbastanza agevole. Conosco altri casi però – conclude Daniele – in cui la realtà è più complessa e dolorosa. Ecco perché sono davvero convinto che la legge sul riconoscimento delle origini biologiche sia davvero utile».
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