giovedì 3 luglio 2014
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La frase a effetto è «demolizione del matrimonio». Che assume contorni ancora più foschi quando a pronunciarla è un vicario di una diocesi importante come Bologna, che di matrimoni ne ha celebrati tanti. Giovanni Silvagni è convinto che questo processo di accanimento vada avanti a causa di un opportunismo generale che asseconda la corrente invece di interrogarsi sul significato delle cose. Una discussione che nel capoluogo emiliano è tornata fuori subito dopo il «Gaypride» di sabato scorso. Il sindaco Virginio Merola, per non rimanere vittima di scaramucce esplose all’interno del suo partito, si è affrettato a dichiarare ai microfoni che il Comune di Bologna riconoscerà le unioni contratte da persone dello stesso sesso all’estero. Battuta che era destinata ad aprire molti interrogativi, dal momento che la normativa nazionale non riconosce questo tipo di unioni. A Bologna dal 1999 esiste un albo delle «Coppie affettive» dove si possono iscrivere le persone dello stesso sesso che convivono. A oggi sono registrate sei persone. Ma monsignor Silvagni è affranto per un’altra questione: «Il problema è capire che cosa è diventato il matrimonio, visto che usiamo continuamente questo termine senza dargli più un significato né una consistenza di valori – si sfoga –. Anche la legge passata alla Camera sul divorzio breve trasforma il matrimonio in un bene in svendita invece di considerarlo per quello che dovrebbe essere. Un impegno umano, prima che religioso e giuridico. Un impegno di vita tra due persone».
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